Quello che la scienza non dice (ma quella libera sì)
Spesso si sente dire che la scienza e gli scienziati siano al soldo delle multinazionali: di sicuro non Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Istituto Ramazzini, un faro nel campo della ricerca indipendente. A lei abbiamo chiesto come stanno davvero le cose su temi caldissimi come il 5G. Le risposte non lasciano dubbi
Un po’ come accade per l’informazione, oggi esiste una sorta di sospetto permanente sulla mancanza di indipendenza degli scienziati. Si fa fatica ormai a credere a quel che ti raccontano, un po’ perché, pur partendo dai dati, le interpretazioni sono poi molteplici, un po’ perché quando ti capita di toccarla con mano, la realtà ti dice una verità ancora diversa. D’altronde non siamo ingenui, gli interessi in gioco sono grandi, enormi, e raramente riguardano la salute dei cittadini o dell’ambiente. Bandiere che quando vengono sventolate è spesso greenwashing.
Se invece della ricerca indipendente possiamo ancora fidarci è perché non ci sono lobby a finanziarla né grandi media a far da megafono. È, se così si può dire, la scienza dalla parte della gente. Si pone domande, fatica, lotta nel cercare le risposte, tiene la schiena dritta e come Cassandra, nessuno l’ascolta, ma il tempo, nel bene e nel male, tende a darle ragione. Un esempio ce l’abbiamo in Italia: si tratta dell’Istituto Ramazzini, un faro a livello mondiale nel campo della ricerca indipendente. Con i suoi oltre 30 mila soci è una delle più grandi e importanti cooperative sociali italiane, organizzata in 28 sezioni, attive in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.
L’Istituto gestisce due strutture cliniche polispecialistiche e il suo centro di ricerca sul cancro, a Bologna, spicca tra i più autorevoli e prestigiosi del pianeta. È intitolato a Cesare Maltoni, il suo fondatore, che individuava l’origine della malattia là dove l’uomo ha cambiato (malamente) i rapporti con l’ambiente. Non si sbagliava: quando le ricerche svolte dall’Istituto hanno messo in evidenza un pericolo per la salute, prima o poi (spesso decenni) sono stati confermati dall’evidenza nell’uomo, andando a contare malati e morti.
Del lavoro di Maltoni e dell’Istituto ho appreso grazie a un libro preziosissimo che non guadagnerà paginate sui giornali che contano né servizi in tv, ma ha il pregio raro di dire le cose come stanno e cosa c’è in ballo senza mezzi termini. Si intitola Fiorella Belpoggi: storia di una scienziata libera, edito da Terra Nuova e proprio alla scienziata del titolo, attuale direttrice dell’Istituto, abbiamo rivolto le nostre domande per fare chiarezza su alcuni temi scottanti spesso affrontati sulle pagine di Dolce Vita e che finalmente trovano risposte in questo volume scritto dalla giornalista Licia Granello.
Come sempre, quando si vanno a toccare gli interessi dei grandi gruppi industriali, dati interpretati al contrario sono all’ordine del giorno. Ciò genera una certa diffidenza nei confronti della scienza, non crede?
La madre di tutti i tira-e-molla sugli inquinanti ambientali è la mancanza di studi approfonditi. E non perché manchino gli scienziati capaci di portarli avanti o senza la schiena dritta indispensabile per una ricerca indipendente. Ma semplicemente perché mancano i finanziatori. O meglio, mancano i finanziatori che vogliano finanziare degli studi non assoggettati alle lobby industriali. Perché senza dati il problema non esiste. E se non esiste il problema, perché dovrebbe esserci un’azione contro?
Sul glifosato, pesticida-simbolo dell’agricoltura convenzionale e intensiva, si stanno consumando cause multimiliardarie eppure l’Europa continua a rimandarne la messa al bando. Dove sta la verità?
Quella sul glifosato è una battaglia ancora in corso. Sono passati quasi dieci anni da quando ho cominciato a occuparmene e la sua permanenza indisturbata tra i fitofarmaci più diffusi in agricoltura continua a inquietarmi moltissimo. L’Istituto Ramazzini in questi anni è stato tra i pochissimi in Europa e nel mondo a portare avanti studi scientifici per valutare gli effetti su animali sperimentali, studi che abbiamo cominciato a pubblicare sul portale Glyphosatestudy.org e che attestano come il glifosato – pur a dosi basse, considerate sicure per l’uomo – sia genotossico, abbia effetti tossici sulla riproduzione e alteri la composizione del microbioma intestinale.
Altro tema divisivo, scottante e attualissimo è il 5G, lei come la vede?
Fino a quando non ci dimostreranno che le onde millimetriche possono essere introdotte senza superare i livelli espositivi sicuri, ritengo sia estremamente colpevole andare avanti sull’implementazione del 5G in maniera globale. Di fronte a un pericolo, mettiamo anche basso, che però coinvolge sette miliardi di persone, la responsabilità dei governi, delle istituzioni preposte e dell’industria è enorme: bisogna, è obbligatorio, trovare il modo di rendere l’innovazione sicura, limitando l’esposizione anche correlata al telefonino, non solo alle antenne.
Un’indicazione di buon senso che immagino – come già successo a molti altri – le attiri accuse di refrattarietà al progresso, non è così?
Sono consapevole che il 5G potrebbe rivelarsi utile in futuro nell’ambito industriale 4.0, nella robotica, per regolare il traffico e connettere e migliorare l’efficienza dei mezzi di trasporto, per le auto a guida autonoma o nell’agricoltura di precisione. Se si avesse una visione “sostenibile” e di progresso dell’uomo, vale a dire implementare le innovazioni che vanno incontro ad avanzamenti tecnologici specifici, e dall’altra parte mantenere livelli espositivi attorno ai 6V/m per la popolazione generale, se così fosse si tratterebbe sicuramente di auspicare la messa in campo del 5G.
In pratica: la scienza è progresso, ma questo non significa ignorare i pericoli connessi.
Dove è necessario – nelle scuole, negli ospedali, nelle banche, negli uffici dove esiste lo stazionamento dell’utente – gli stessi servizi vengono già erogati con le stesse prestazioni dalle reti fisse in fibra ottica + Wi-Fi di nuova generazione, tecnologia certamente più sicura a livello sanitario delle reti radiomobili. Per crescere con la tecnologia basterebbe fare l’esatto opposto di quanto vogliono fare le lobby delle telecomunicazioni e cioè dislocare in aree a bassa densità abitativa tante antenne di potenza limitata. Moltiplicare il numero delle antenne a bassa potenza per mantenere un basso limite di esposizione, infatti, ha dei costi enormi, perché gli impianti costano.
In tema di connessioni tra ambiente e malattia, nel libro si parla della benzina verde, un caso di greenwashing da manuale. Come ci hanno ingannati?
La benzina diventa “verde” perché non ha più il piombo. Ma quando brucio alcol ed eteri si formano le aldeidi, che oggi sono classificate come potenziali cancerogeni. In teoria, le aldeidi, acetaldeide e formaldeide, dovrebbero essere trattenute dalle marmitte catalitiche. Peccato però che queste entrino a regime solo dopo mezz’ora dall’accensione. Un dettaglio che le industrie si dimenticano di comunicare. In sostanza, nelle città – dove il traffico si svolge a ritmi brevi, sincopati, lontanissimi diversamente dalle lunghe percorrenze delle autostrade – i problemi restano, praticamente immutati, e le marmitte catalitiche non entrano adeguatamente in funzione rilasciando così i prodotti di combustione nell’aria, fra i quali anche le aldeidi, acetaldeide e formaldeide. Ma le industrie delle macchine e del petrolio sono felici, perché la gente si sente rassicurata, cambia l’automobile e fa il pieno con la nuova benzina super sicura, tant’è che si chiama verde!
Infine, come se la passa la ricerca indipendente?
Purtroppo il concetto stesso di ricerca indipendente trova appoggio tiepido, quando non avversione vera, presso i politici e le industrie. Succede quando le logiche, spesso coincidenti nelle due categorie, sono quelle del profitto per il profitto, senza attenzione alcuna ai temi della salute e dell’ecocompatibilità. Eppure quanto più la ricerca riesce ampia, documentata e indipendente, non avvantaggia solo la comunità umana e l’ambiente, ma a lungo termine anche l’industria che può così evitarsi risarcimenti miliardari.
A cura di Mena Toscano