Qualche breve riflessione in tema di coltivazione di piante di cannabis
Desidero prendere spunto da due sentenze emesse dalla stessa Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione a due giorni di distanza l’una dall’altra.
1.
Con la prima dell’8 aprile 2014, n. 33835 (Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Sassari c. P.A.) si afferma un principio assai importante e cioè che la coltivazione, quando non risulti espressione di un’attività criminale e, quindi, pericolosa (per dimensione territoriale, per luoghi ove essa venga svolta, per organizzazione dei mezzi di coltivazione, per numero delle piante coltivate), in altre parole quando non viene rilevata l’offensività della condotta, non è punibile.
Ulteriore elemento che possa escludere il carattere illecito a parere della Corte di legittimità – si legge nella massima che segue –≥ «è, ragionevolmente, quello del conclamato uso personale e della minima entità della coltivazione, tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione».
È questa una pronunzia di grande rilievo perché fa rientrare nel novero degli elementi idonei ad escludere l’illiceità della condotta, proprio la destinazione del prodotto coltivato al consumo personale.
Massima giurisprudenziale
In materia di coltivazione di sostanze stupefacenti, nella individuazione del compimento dell’azione tipica nel singolo caso, va applicata la regola di necessaria sussistenza della offensività in concreto, con la conseguenza che seppure realizzata l’azione tipica, deve escludersi la punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive. L’ambito di tale riconoscibile inoffensività è, ragionevolmente, quello del conclamato uso personale e della minima entità della coltivazione, tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione, con onere della prova a carico dell’imputato, anche se con tutta probabilità la condizione di inoffensività è di immediata percezione.
2.
Con la seconda, datata 10 aprile 2014, n. 16019 ecco – è di moda seppure per altri motivi – la doccia gelata.
Afferma la medesima Sezione che la finalizzazione ad uso personale del ricavato della coltivazione appare ininfluente al fine di esimere da punizione la condotta.
Dunque viene smentita l’affermazione formulata appena due giorni prima.
Unica ipotesi nella quale si può rilevare l’inoffensività della condotta coltivativa, cioè la non pericolosità della stessa, sarebbe quella in cui le piante siano inidonee a produrre principi attivi. Vale a dire mai.
Massima giurisprudenziale
Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale. La punibilità è esclusa solo in presenza di una condotta inoffensiva: allorquando, cioè, la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile.
CONCLUSIONI
Lascio a voi che avete la pazienza di leggere ogni conclusione.
Al di là del fatto che si tratta di principi estrapolati da più ampie sentenze, rimane, peraltro, la considerazione – inequivoca – che in relazione al medesimo tema vengono espressi due orientamenti perfettamente opposti, dalla stessa Sezione giurisdizionale, a distanza di poche ore.
Ma quale certezza ha il diritto?