Psicoanimismo: l’incontro tra psicanalisi e sciamanesimo
L'approccio animista alla psicanalisi punta sul legame sacro e indissolubile tra uomo e Natura. Ne parliamo con lo psicanalista Antoine Fratini
Antoine Fratini è uno psicoanalista. Per curare i suoi pazienti ha scelto l’approccio psicoanimista. Egli ritiene che sfruttando il legame sacro e indissolubile che esiste tra gli uomini e la natura, si possa accedere a una nuova modalità partecipativa di conoscenza e di essere nel mondo. Un percorso curativo che attinge a culture e pratiche ancestrali per arricchire e completare la visione moderna del disagio e della psicoterapia.
“La mia esperienza nelle sedute psicoanimistiche mi ha insegnato che più ci si addentra in luoghi selvaggi, più si tende a entrare in profondità dentro noi stessi“, ha dichiarato Fratini che abbiamo cercato per farci raccontare questo nuovo approccio che tanto ha a che fare con lo sciamanesimo e i metodi di cura tradizionali dei popoli amazzonici.
I popoli indigeni vivono in costante interconnessione con la natura e il mondo invisibile che vi si esprime. Questo rapporto costruttivo con l’aldilà fornisce ai membri delle tribù la saggezza ancestrale per adattarsi armoniosamente ed efficacemente al mondo.
Come dice Fratini, “La Natura offre infinite possibilità“. Vediamo come.
Cos’è lo psicoanimismo?
L’approccio psicoanimistico nasce dallo studio incrociato di varie discipline tra cui spiccano la psicoanalisi e l’antropologia moderna. Vi sono anche rilevanti riferimenti alla gestalt, all’ecologia, all’economia e alla scienza dei sistemi complessi. Dal punto di vista clinico, esso introduce differenze di rilievo la cui efficacia richiede anche un cambiamento di paradigma culturale.
Quanto questo approccio attinge dallo sciamanesimo?
La pratica psicoanimistica trova nello sciamanesimo una importante fonte di ispirazione. L’affinità fondamentale consiste nell’importanza prioritaria accordata all’anima, intesa qui come quelle impressioni vive suscitate in noi dalle cose, dagli esseri e dagli eventi.
Nella pratica come funzionano le sedute psicoterapeuta-paziente?
La durata degli incontri è solitamente maggiore rispetto alle sedute analitiche e può variare dalla solita ora all’intero giorno, a secondo delle difficoltà del caso. Trattasi di una sorta di full immersion che tiene conto, più che dell’orologio, del tempo di manifestazione dell’inconscio e della sua integrazione alla coscienza.
La persona è invitata a parlare liberamente, come in psicoanalisi, sfoggiando i suoi umori negativi, affrontando le sue resistenze, preparandosi al contatto con la dimensione animica e a riceverne le rivelazioni attraverso il dialogo con le sue entità. Tali rivelazioni possono in un secondo momento prendere la forma di sogni o visioni.
Lo psicoanimista privilegia il sistema del baratto rispetto all’onorario. Lo conferma? Può spiegarci perché?
Sì, è vero. Questo perché l’uso del danaro presenta risvolti negativi non indifferenti dal punto di vista animico. Il denaro spinge a pensare anziché a sentire, a calcolare anziché a “vedere”, a ragionare in maniera fredda, con i numeri, fino a farci perdere la reale percezione del valore dei beni essenziali, delle relazioni e degli esseri. Il passaggio dall’onorario al baratto, ovviamente, non è cosa facile; si può compiere solo progressivamente, mano a mano che si organizza una rete ben nutrita di relazioni di mutuo aiuto e una relativa autonomia alimentare, segnatamente con la creazione di orti e frutteti, la conoscenza e la raccolta di erbe, bacche e fiori selvatici e quindi la scelta di risiedere in un luogo adatto a questo scopo.
È vero che le sedute si svolgono preferibilmente immersi nella natura?
Sì, ed è un ulteriore punto in comune con lo sciamanismo. Gli incontri si tengono in boschi, parchi naturali, argini di fiumi… Lo psicoanimista, alla pari dello sciamano, ha una conoscenza approfondita del territorio e conosce i luoghi adatti alla cura dell’anima. Questi, per via del mana o, per dirlo in termini moderni, della “energia” che emanano, sono particolarmente propizi alla manifestazione degli spiriti della Natura con cui si dovrà dialogare. Queste cose potranno sembrare strane alle persone a digiuno di conoscenze antropologiche, ma vi è in generale una tendenza al ritorno all’animismo. Lo si nota chiaramente, per esempio, nella corrente del neosciamanismo.
Lei ha conosciuto il Dr Jacques Mabit, una delle principali autorità sull’uso della ayahuasca. Che insegnamento ne ha ricevuto?
Il Dr. Jacques Mabit è un medico francese con cui collaboro da tempo. Egli dirige da decenni un Centro in Perù dove tratta tossicomani utilizzando vari tipi di cura mediati dai popoli amazzonici, tra cui il rito dell’ayahuasca, una liana tipica di quelle zone, una pianta chiamata “maestra” perché, in effetti, come afferma lo stesso Mabit, ”parla e insegna”. Queste esperienze tendono a confermare la mia tesi sull’esistenza di una parte animistica sotto le sovrastrutture mentali dei moderni. Trattasi di un inconscio animistico che spinge a percepire, pensare e comportarsi come i membri tribali. Questo getta luce nuova su molti fenomeni, tra cui le mode dei tatuaggi e dei piercing, dei balli scatenati, del darsi a sostanze stupefacenti, del ritorno alla Natura, della nascita delle “nuove tribù” secondo la felice espressione del sociologo Michel Maffesoli… Pensieri e comportamenti del genere, spogliati dei loro significati, possono spingere i moderni verso lidi pericolosi. Eppure, ricondotti alla loro vera essenza, possono diventare preziosi alleati per l’integrazione dell’inconscio.