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Psichedelici: qual è l’attitudine degli psichiatri europei?

Se l'è chiesto un grupppo di ricercatori che ha da poco pubblicato uno studio su Scientific Reports

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L’interesse per gli psichedelici in medicina e per le terapie assistite con questo tipo di molecole sta crescendo in tutto il mondo, Europa compresa.

È il punto di partenza di un gruppo di ricercatori provenienti dalla Scuola di medicina dell’Università di Spalato, dal Dipartimento id psicologia della stessa università, dall’Università Jagellonica di Cracovia e dal Dipartimento di psichiatria del Clinica Hospital Centre di Spalato che spiegano: «L’attuale ondata di ricerca ha visto un rapido aumento dell’interesse e l’allentamento delle barriere normative alla ricerca sugli psichedelici, il che implica la scomparsa di parte dello stigma storico su queste sostanze. Attualmente si assiste a una discrepanza tra il livello di interesse e di entusiasmo che circonda gli psichedelici come strumenti di cura e il loro status legale vietato in molti Paesi del mondo. Poiché questo entusiasmo può portare a pregiudizi, è importante che vengano applicati elevati standard etici e pratici nella ricerca sugli psichedelici, in proporzione alla loro novità e all’ampio spettro di effetti possibili».

In un recente studio scientifico pubblicato su Scientific Reports, fanno il punto su questo tipo di terapia in giro per il mondo evidenziando come l’Australia sia partita in anticipo rispetto ad altri Stati, permettendo agli psichiatri di prescrivere MDMA dal 2023, e di come in Europa nel 2024 sia partito lo studio PsyPal con un finanziamento da 6,5 milioni di euro dell’Unione Europea e 19 partner, per capire se la terapia con psilocibina possa aiutare ad alleviare il disagio psicologico ed esistenziale nei pazienti affetti da una di quattro diverse malattie progressive: bronco-pneumopatia cronica ostruttiva, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica e morbo di Parkinson atipico.

GLI PSICHEDELICI PER GLI PSICHIATRI EUROPEI

Per indagare quale sia l’attitudine e l’atteggiamento degli psichiatri europei nei confronti degli psichedelici hanno quindi effettuato 680 sondaggi con dati provenienti da 33 Paesi europei, soprattutto da: Polonia (n = 55, 13,1%), Regno Unito (n = 35, 8,4%), Italia (n = 33, 7,9%), Croazia (n = 30, 7,2%), Germania (n = 24, 5,7%), Paesi Bassi (n = 22, 5,3%), Svezia (n = 19, 4,5%), Slovenia (n = 17, 2,5%). 5%), Slovenia (n = 17, 4,1%), Repubblica Ceca ed Estonia (n = 17, 4,1% ciascuna), nonché Bosnia-Erzegovina, Macedonia settentrionale e Romania.

«Rispetto a quelli senza precedenti esperienze», riportano gli autori, «gli psichiatri che hanno riferito di aver avuto precedenti esperienze con la psicoterapia assistita con psichedelici (PAP) o con la ricerca psichedelica hanno pubblicato un maggior numero di articoli scientifici, hanno valutato più elevate le loro conoscenze sugli psichedelici, sono più spesso di sesso maschile, hanno una maggiore frequenza di lavoro in un istituto ospedaliero privato, si sono identificati più spesso come spirituali e hanno avuto maggiori probabilità di aver fatto uso di cannabis, LSD, psilocibina, ayahuasca, DMT, mescalina o MDMA in passato».

E precisano che: «Quando abbiamo analizzato la possibilità di bias di abbandono, abbiamo scoperto che gli psichiatri che non hanno completato il sondaggio, ma che hanno comunque fornito le loro informazioni demografiche, avevano una minore probabilità complessiva di aver mai provato cannabis o psichedelici in generale».

Risultati che hanno portato gli scienziati a sottolineare che: «Gli psichiatri europei che hanno partecipato alla nostra indagine hanno mostrato un atteggiamento generale moderato nei confronti degli psichedelici e sono riusciti a identificare gli psichedelici tra un gruppo di sostanze psicoattive, in particolare l’LSD, la psilocibina e la mescalina. Gli psichiatri maschi più giovani che si sono identificati come spirituali, che hanno mostrato una migliore capacità di riconoscere e classificare le sostanze come psichedeliche e che hanno usato psichedelici in precedenza hanno avuto atteggiamenti più positivi, in particolare. Nessuna variabile professionale, oltre all’esperienza pregressa autodichiarata con la PAP o la ricerca psichedelica, è stata associata agli atteggiamenti sugli psichedelici».

Gli autori concludono spiegando che: «Il nostro studio è il primo a dimostrare che l’uso pregresso di psichedelici e l’esperienza personale con la PAP e la ricerca psichedelica erano entrambi fortemente associati ad atteggiamenti più positivi nei confronti degli psichedelici, indipendentemente dal background e dalla formazione in psichiatria».

Con un dubbio di fondo: «Tuttavia, ciò rafforza i rischi precedentemente descritti di parzialità e di entusiasmo degli operatori che hanno fatto personalmente uso di psichedelici e ha implicazioni anche per gli interventi educativi sugli psichedelici […] per i quali può essere difficile determinare quali siano le informazioni equilibrate e prive di parzialità. L’associazione tra conoscenze più approfondite e atteggiamenti più positivi nei confronti degli psichedelici solleva il dubbio che gli individui che creano e forniscono tali interventi possano rimanere neutrali. Allo stesso modo, considerando lo stigma e le controversie storiche associate agli psichedelici, potrebbero essere presenti pregiudizi significativi anche tra gli individui poco informati sugli psichedelici e sulla PAP».



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