Privati delle prigioni
La privatizzazione delle carceri rimuove la funzione dello stato che dovrebbe erogare servizi ai propri cittadini, non assoggettati ad esigenze di bilancio
In questi giorni di inizi febbraio, in cui mi accingo a scrivere questo articolo, i TG nazionali dedicano un ampio spazio agli ultimi due suicidi nelle carceri italiane (Verona e Caserta), e ad un terzo avvenuto in un centro di accoglienza per migranti (CPR Roma). Poiché da tempo, la mia fiducia nell’informazione rasenta lo zero, non ho visto nell’interesse della stampa nazionale una denuncia delle condizioni, ormai insostenibili, in cui lo Stato tiene i propri cittadini privati della loro libertà. A sostegno dell’argomento che sta ottenendo visibilità, viene dato rilievo anche alla condizione che una nostra connazionale detenuta in Ungheria stà patendo da circa un anno, mentre è in attesa di giudizio.
Poiché ogni “notizia” che passa attraverso il mainstream ha il compito di generare opinione e creare tendenza; mi sono chiesto quale poteva essere il vero scopo di questa “campagna pubblicitaria” e nel cercare risposte mi son ricordato di tutte le volte che la politica, termine ormai svuotato di senso poiché ha abdicato da tempo a favore della finanza cui è assoggettata e dalla quale prende ordini, ha avuto bisogno del consenso formale sulle scelte che ha già ricevuto l’ordine di prendere.
Quando è stata smantellata l’industria statale, la sanità, la ricerca, parte del sistema istruzione, eravamo ormai stati (quasi) tutti convinti da campagne simili, e affidare ai privati la gestione dei servizi una volta garantiti dallo Stato ne avrebbe aumentato l’efficienza ed eliminato gli sprechi endemici da cui erano affetti. Come ben sappiamo non è andata esattamente così, e se ancora non lo sapete, ve ne accorgerete la prima volta che avrete bisogno di un pronto soccorso ospedaliero, o di un esame clinico, adesso che gli Ospedali si chiamano Aziende Sanitarie.
La ragione di esistere per un impresa è generare profitto, se non genera profitto và chiusa.
Uno stato contempla invece l’erogazione di servizi ai propri cittadini, che non dovrebbero essere assoggettate ad esigenze di bilancio.
Nel caso specifico delle carceri la loro privatizzazione non dovrebbe presentare rischi di “resistenza sociale” perché dei detenuti non frega niente a nessuno, finché ad andare in galera non è un familiare. Ad oggi e da parecchio, un servizio affidato ai privati dentro le nostre carceri è il vitto ed il sopravvitto; l’azienda che si aggiudica l’appalto della fornitura del vitto, ha diritto a gestire il sopravvitto, per vincere l’appalto del vitto è necessario garantire un certo numero di calorie giornaliere ad ogni recluso, al minimo del costo.
Il sopravvitto, invece, è composto da un elenco di generi a prezzo controllato, ed in teoria corrispondente alla media del mercato locale, che i detenuti acquistano con i propri fondi (denaro che loro non maneggiano ma che viene segnato sul “libretto”). Il denaro dai libretti viene scaricato al momento di prenotare la “spesa”, cioè, la spesa si paga in anticipo. Il sistema corrisponde ad un’equazione: più il vitto sarà scadente, maggiore sarà quello che verrà acquistato da chi può permettersi di fare la spesa. Poiché, come specificato, il denaro viene scaricato con largo anticipo dai libretti dei detenuti, l’impresa appaltatrice non ha rischio di invenduti né di giacenze, oltre che poter contare su denaro contante e garantito, il che in fase di trattativa d’acquisto è il sogno di ogni commerciante. Il rischio d’impresa è praticamente azzerato.
Credete davvero che privatizzare le carceri sia la miglior delle soluzioni? Vi metteranno di fronte ad una scelta che contemplerà due opzioni: o privatizzazione o indulto. L’esito dell’opinione generale mi pare scontato, ma chi ti lascia l’illusione di scegliere ciò che è già stato deciso sa bene come porre i quesiti per ottenere le risposte che vuole.