Cronache da dietro il cancello

Prigionieri al di qua dei cancelli

Viviamo una non-vita, inconsapevoli e ammaestrati. Abbiamo sbarre invisibili al posto di quelle reali e provare a spezzarle può avere un costo molto alto

Due uomini seduti all'interno della loro cella

Per quanto l’estate si preannunci piuttosto calda anche al di qua dei cancelli, per i prigionieri sarà probabilmente l’ennesima stagione “infernale”. 

La retorica che dilaga e che tutti ci ammaestra, dopo averci accompagnato nei due anni di “domiciliari collettivi” adesso ha a disposizione qualcosa di ancor più spaventoso da manipolare, l’incombere di una guerra globale. In un quadro così tragico non v’è spazio per le condizioni dei prigionieri, a meno che non siano prigionieri di guerra e dalla “parte giusta”, ma nulla ci vieta di immaginare un futuro diverso.

In fondo tutto parte dall’immaginazione anche se spesso, prima che le cose cambino, non è sufficiente una generazione. Ma senza iniziare ad immaginarlo, nessun futuro potrà mai avverarsi. 

Nei ranghi sociali oggi così serrati, chi infrange le regole rischia di diventare maggioranza e se in principio le regole si infrangono in rigoroso silenzio, la maggioranza, nel momento in cui prende coscienza del fatto che infrangere diventa necessità, è destinata a non rimanere più silenziosa. 

Non sarà facile nei prossimi anni, per chi si troverà sui vari ponti di comando del nostro articolato e per nulla armonico sistema sociale, controllare e reprimere i sempre più numerosi trasgressori delle regole, perché le regole sono dettate da facce e persone sempre meno credibili e smentite quotidianamente nei fatti da comportamenti che per primi infrangono le regole che dettano. 

Le conseguenze a questa possibile implosione del sistema sono facilmente prevedibili e per nulla allettanti.

Le regole vengono sempre dettate dai più forti, che quasi mai coincidono con “la maggioranza”, il nome con cui si indica la schiera più fedele dei loro schiavi, quelli che non riescono a immaginare una libertà diversa da quella che gli viene raccontata. Questi sono così convinti e perduti, da arrivare a difendere il loro padrone dandogli pubblica approvazione attraverso l’esercizio del voto, un altro dei recinti all’interno dei quali viene consentito agli schiavi di spaziare e di decidere se perdere il dente o la ganascia. 

Gli eletti sono sempre predestinati. Spesso la responsabilità degli schiavi è vicina allo zero. Sono nati e cresciuti in ambiti in cui si riesce presto a disabituarli a pensare, mettendo tra loro e la loro vita così tante di quelle cose, che non riescono più nemmeno a vederla. 

In cambio gli viene data una non-vita della quale non ci si può rendere conto perché la vita non si è mai vista. 

Un ciclo produttivo, nulla di più e costantemente a rischio d’espulsione dal cerchio, con difficoltà di adattamento alle quali spesso viene preferita la morte. Se va bene si sale un gradino o si sopravvive prolungando una possibile agonia, se va male c’è l’espulsione, dalla scuola, dal lavoro, dalla famiglia, dalla ditta, dal Paese, dalla società. 

Se va malissimo c’è la prigione. 



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