Il potere dell’azione collettiva contro la crisi climatica
Come posso ridurre la mia impronta ecologica? In quanto ricercatori per lo sviluppo sostenibile, cerchiamo costantemente di rispondere a questa domanda, tra amici, familiari ma anche giornalisti. La risposta è semplice: la crisi climatica si combatte riducendo i voli, i trasporti inquinanti e l’alimentazione da fonti animali. Google straripa di consigli che sono sempre gli stessi e che hanno tutto il supporto della scienza. Certamente, alcuni cambiamenti nella nostra dieta, viaggi e stile di vita sono totalmente necessari per evitare il collasso climatico. Lo sono soprattutto nei paesi ad alto reddito, data la responsabilità sproporzionata che hanno nelle emissioni di gas a effetto serra.
Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) dedicherà finalmente – per la prima volta dal suo primo report nel 1990 – un intero capitolo a soluzioni che riguardano le abitudini di consumo (cosiddette demand-side solutions) nel suo sesto Rapporto di Valutazione in arrivo. Il comitato di consulenza del governo britannico (Committee on Climate Change) riconosce che la società avrà bisogno di cambiare radicalmente affinché l’Unione Europea possa raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. Ed ogni individuo può aiutare in quest’impresa.
Impronta ecologica? È una questione di scelte…
Se vivi in un paese sviluppato, non prendere quel volo internazionale ogni anno potrebbe ridurre le tue emissioni annuali di CO2 fino al 50%. Diventare vegano può tagliare le tue emissioni legate all’alimentazione anche del 70%. E passare a un fornitore di energia rinnovabile può abbattere un’ulteriore considerevole fetta della tua impronta ecologica. Ma siamo ancora scettici riguardo quanto questi cambiamenti possano effettivamente ottenere rispetto ciò di cui abbiamo bisogno.
Per avere un impatto significativo, le misure per ridurre l’impronta ecologica necessitano un’azione collettiva verso uno sviluppo sostenibile. Eppure anche tra le persone più informate, sono scarsi gli effetti di un comportamento davvero ecosostenibile. I conservazionisti, nonostante la loro profonda consapevolezza della crisi ecologica e climatica, hanno impronte ecologiche non più basse dei loro colleghi medici o economisti, ad esempio.
Anche se ognuno adottasse uno stile di vita a basse emissioni di carbonio, potremmo solo sperare di influenzare al massimo la metà delle emissioni legate alle attività umane, lasciando le restanti bloccate in infrastrutture quali strade, aeroporti, ed edifici. Un recente studio ha rilevato che con un ragionevole livello di adesione, le azioni dei “consumatori green” potrebbero ridurre l’impronta carbonica europea solo del 25%. Ma le azioni comunemente adottate per ridurre tale impronta – riciclare, usare borse riutilizzabili e cambiare le lampadine – hanno poco effetto.
Invece di ossessionarci sulla nostra impronta ecologica individuale, abbiamo bisogno di riconoscere il nostro potere collettivo.
La pandemia COVID-19 ci ha fornito un esempio di come possiamo farlo. Il distanziamento fisico portato avanti in modo collettivo ha messo fine all’idea che gli individui sono troppo egoisti per agire in vista di un bene collettivo. Questo dimostra come le nostre azioni individuali possono sommarsi proficuamente se prese in solidarietà con gli altri.
I veri colpevoli dell’emergenza climatica sono stati eclissati nelle notizie dai rimorsi e dai sensi di colpa individuali. Se investissimo la stessa energia che attualmente usiamo per sfidarci l’un l’altra sui requisiti ecologici da avere nel chiederci invece come i governi e il commercio abbiano deragliato l’impegno ambientalista, saremmo probabilmente un passo avanti.
Un recente rapporto ha rilevato che 134 paesi hanno fatto accordi per ridurre le emissioni entro il prossimo decennio che sono insufficienti per poter limitare il riscaldamento climatico sotto i 2°C, come aveva delineato l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Fondare un movimento per sfidare e finalmente cambiare questa situazione è qualcosa di profondo. Agire da soli/e semplicemente non è un’opzione.
Ancor prima della pandemia, la storia recente vendicava l’azione collettiva di persone comuni. Movimenti come Extinction Rebellion e Fridays for Future, ispirato a Greta Thunberg, hanno messo l’ambiente al centro del dibattito politico. Le vittorie elettorali dei partiti dei Verdi mostrano la nuova brama di soluzioni per i problemi ambientali.
I movimenti locali hanno fatto pressione sui governi e le grandi multinazionali affinché mantenessero gli impegni presi sul cambiamento climatico. Le cause legali di Climate Litigation hanno aiutato a far avanzare il concetto che avere un clima sano è un diritto umano fondamentale che deve essere rispettato dalla legge.
Le richieste di abbandonare i combustibili fossili hanno portato università, fondi pensione e intere nazioni a cessare gli investimenti in aziende di combustibili fossili.
L’azione diretta nonviolenta, come le proteste volte ad arrestare le espansioni degli aeroporti, hanno fatto montare il supporto pubblico perché si ridimensionassero le decisioni in merito alle nuove grandi infrastrutture che potrebbero accelerare il cambiamento climatico.
Blackrock, il più vasto fondo patrimoniale, ha annunciato dopo le proteste globali che avrebbe smesso di investire in compagnie che minacciano l’ambiente, come ad esempio le produttrici di carbone.
L’azione individuale arresterà veramente il business as usual solo quando avremo realizzato che non siamo uno, ma tanti. Mentre tentiamo disperatamente di contenere la curva del coronavirus, dovremmo riflettere su come, attraverso la cooperazione, possiamo fare lo stesso per la crisi climatica.
a cura di Oliver taherzadeh e Benedict Probst
Ricercatori all’Università di Crambridge, per gentile concessione di Extinction Ribellion