Pisa è pronta: ecco come funzionerà il primo Cannabis Social Club italiano
In Italia i movimenti antiproibizionisti raccolti nella rete Encod sono pronti a seguire l’esempio spagnolo dei Cannabis Social Club avviando in varie città dei gruppi di soci, che producano e distribuiscano cannabis tra i membri, senza scopo di lucro. Domani a Napoli si terrà una riunione tra le varie realtà locali che stanno intraprendendo questo percorso per stabirne le linee guida, con l’obiettivo di registrare i club nei prossimi mesi. Pierluigi Dell’Aquila, tra i fondatori del club di Pisa, ci ha spiegato come funzionerà il club che aprirà nella città toscana.
UN CLUB NON SOLO PER I MALATI. Il club di Pisa punta a registrarsi ufficialmente presso l’Agenzia delle Entrate nel 2015. “Non avrà scopo di lucro e tutelerà i suoi associati dall’insicurezza legale e dalle difficoltà di approvvigionamento che affliggono gli utilizzatori di cannabis a fini terapeutici”, questa è la speranza di Pierluigi, uno dei membri del futuro CSC di Pisa, che insieme agli avvocati sta lavorando all’elaborazione dello statuto. “Siamo, in realtà, ancora in una fase embrionale – afferma Pierluigi – probabilmente il club sarà composto da un numero di soci fondatori, una parte dei quali saranno malati con il diritto alla cannabis terapeutica, mentre altri saranno soci sostenitori che ci aiuteranno a vari livelli, anche per conferirci maggior forza politica”. L’obiettivo è quindi quello di stutturare il Csc come club misto, che in primis rivendichi il diritto alla cannabis terapeutica per i malati che: “non riuscendo a soddisfare in altro modo il loro diritto, saranno legittimati ad autoprodurre la cannabis con l’aiuto degli altri soci, nel caso non possiedano le forze o i mezzi per farlo in autonomia”.
IL CSC COME STRUMENTO CONTRO LE NARCOMAFIE. “Se avvieremo una coltivazione di cannabis terapeutica – prosegue Pierluigi – è mio parere che inizialmente il luogo sarà mantenuto segreto per evitare incursioni e possibili boicottaggi da parte di gruppi criminali, che logicamente non vedranno di buon occhio uno scambio senza scopo di lucro di cannabis. Mentre per quanto riguarda la magistratura quando ci chiederà maggiori informazioni gliele forniremo”. L’obiettivo, secondo Pierluigi Dell’Aquila, è quello di farsi trovare pronti quando il quadro normativo cambierà in un senso favorevolmente alla coltivazione della cannabis terapeutica: “allora provvederemo a coltivarla anche per i soci senza prescrizione medica, in modo da evitare l’approvvigionamento dal mercato nero che alimenta le narcomafie, visto che il Cannabis Social Club è anche una proposta e un modello concreto di superamento del proibizionismo sulla canapa”.
TUTTI GLI OBIETTIVI DEL SOCIAL CLUB. Se per quanto riguarda la coltivazione vera e propria ci sarà comunque bisogno di tempo, il club inizierà però da subito la propria attività politica e contro-culturale. “Il social club deve avere innanzitutto lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica – spiega Pierluigi Dell’Aquila – e deve essere un luogo di scambio culturale, per un corretto consumo della sostanza. Inoltre tra le nostre attività, almeno inizialmente, ci sarà quella di creare un fronte unitario tra i malati che hanno diritto alla cannabis sul territorio, di modo da avviare importazioni legali di cannabis olandese a prezzi più sostenibili rispetto a quelli che devono sopportare ora (anche 35 euro al grammo, ndr) fino a quando non saremo in grado di produrla autonomamente”. Altro obiettivo del club sarà quello di sensibilizzare e formare i medici del territorio sulle proprietà terapeutiche della cannabis e sul loro diritto (e dovere) di prescriverne l’accesso ai malati.
GLI OSTACOLI DA AFFRONTARE PRIMA DI AVVIARE LA PRODUZIONE. Naturalmente l’avvio di una produzione di cannabis, anche se senza scopo di lucro, dovrà superare ed abbattere tutta una serie di steccati politici e legislativi. I club italiani (ne saranno aperti anche a Bologna, Torino, Genova, Roma, Bergamo e Napoli) in questo obiettivo si avvarranno della consulenza di avvocati e della rete Encod (coalizione europea contro il proibizionismo), ma ciò sicuramente non sarà sufficiente a porli al riparo dalle attenzioni della magistratura. Anche i club spagnoli hanno dovuto combattere (e combattono tutt’ora) contro i processi verso i loro soci, pur partendo da una legislazione nazionale maggiormente favorevole, in quanto la legge spagnola autorizza il consumo in luoghi privati punendo solo quello in pubblico. Una distinzione che in Italia non esiste. “Tuttavia anche oggi come singoli consumatori in Italia siamo quotidianamente sottoposti all’arbitrio delle forze di polizia e della magistratura – specifica Pierluigi – l’essere raccolti in un club ci darà maggiore forza anche di fronte ad eventuali processi. Quando succederà il nostro obiettivo sarà quello di dimostrare che non vi è alcuno scopo di lucro in ciò che facciamo, e confidiamo che la nostra battaglia potrà portare sempre più persone ad unirsi a noi, per costruire una massa critica che sarà fondamentale per rivendicare anche in Italia la fine del proibizionismo e della persecuzione verso i consumatori”.