Perso il referendum su cannabis terapeutica in Florida. Ma quali erano le lobby contrarie?
I referendum popolari americani hanno stabilito un nuovo successo per la legalizzazione della cannabis, considerando anche la contemporanea sconfitta dei Democratici e lo scarso afflusso di giovani alle elezioni di mezzo mandato. L’industria ne trae incoraggiamento e altri dollari freschi stanno per entrare nel mercato degli Stati che hanno approvato le proposte di legge. Oregon e Alaska si sono unite a Colorado e Washington State in una completa legalizzazione, mentre District of Columbia, Stato-città della capitale Washington ha depenalizzato il possesso con una vittoria schiacciante. A causa dello speciale statuto di Washington, il parlamento potrebbe opporsi alla volontà popolare, ma con un’opinione pubblica completamente favorevole alla legalizzazione in città, vecchi e nuovi deputati Repubblicani ringalluzziti dalla vittoria dovranno fare bene i loro conti. In ogni caso, la vittoria antiproibizionista nella capitale ha un valore simbolico forte.
Territorio d’oltremare di Guam vota a favore. Gli abitanti di questa isola dell’Arcipelago delle Marianne, in una posizione strategica nel Pacifico, sono indigeni Chamorro e militari americani. L’economia di pace si basa per il 90 percento sul turismo dal Giappone, che ha una legislazione severa in tema di cannabis, ma questo non conta. Per elezione naturale, questa sorta di Stato-base militare-villaggio turistico americano è un paradiso fiscale. Ma anche questo non conta. I motivi della vittoria antiproibizionista risiedono sicuramente nelle rispettive tradizioni di medicina alternativa della cultura Chamorro e della US Navy. Complimenti a Guam per questa bella vittoria.
Quasi una guerra civile in Florida. La Florida ha perso perché era necessario ben il 60 percento dei voti favorevoli. Qui la campagna per la cannabis terapeutica legale è stata costosa e quasi violenta. Sul fronte antiproibizionista c’era, e resta ancora per le prossime iniziative legali, l’avvocato John Morgan, che ha pagato di tasca propria la campagna. Morgan rappresenta evidentemente la lobby dell’industria della cannabis, ma anche decine di migliaia di pazienti. Il fronte contrario alla legalizzazione ha visto in prima linea il miliardario dei casinò Sheldon Adelson. Costui ha speso 5 milioni di dollari in pubblicità più o meno ingannevoli su giornali e televisioni per fermare l’iniziativa di legalizzazione. Il filantropo che ha pagato la campagna proibizionista in Florida è fra gli uomini più ricchi del mondo grazie ai casinò di Las Vegas e ai resort di lusso sparsi nel mondo e dotati di tutti i servizi in camera.
Proprietari di casinò insieme a medici e albergatori di Disneyland. Ma il Paperone dei casinò non era solo. Un gruppo influente è stato il Florida Medical Association, che paventava problemi di abuso e debolezza della struttura normativa. E ci possiamo anche stare. Invece non ci stiamo quando l’altro autorevole gruppo di opinione contraria alla legalizzazione si rivelava come il Central Florida Hotel & Lodging Association, lobby degli albergatori del Sunshine State che ritiene la cannabis legale pericolosa per la buona immagine dello Stato della Florida. Con Disney World lì vicino, per carità! In sintesi, la cannabis terapeutica legale in Florida ha perso non perché i cittadini temano effetti sulla salute pubblica. Non si è raggiunta l’elevata percentuale di voti richiesta perché l’elaborazione digitale dei sondaggi d’opinione ha indicato un possibile danno d’immagine derivato dall’apertura del dispensari, con conseguente calo dei profitti dal turismo. La legalizzazione è quindi rinviata al 2016, insieme alla nuova versione del software di statistica.