Perché anche voi rapper dovreste ascoltare John Coltrane
Perché dopo la sua morte nel 1967 non è stato inventato più nulla. Coltrane ha portato l’improvvisazione ai suoi estremi, cogliendo tutti di sorpresa, terminando il bebop, rivelando l’universo del free jazz a tutti gli stili liberi rock e pop che sono venuti dopo. Non è stato l’unico e il padre spirituale del free jazz resta, credo, Ornette Coleman. Ma fermiamo il malcapitato intenditore di musica che casualmente sta leggendo Dolce Vita: non ho intenzione di intavolare discussioni social sul jazz e l’unica cosa certa in comune fra Coltrane e hip hop è la radice gospel.
Ha cominciato l’eroina a 27 anni, in lieve ritardo rispetto ai musicisti delle successive generazioni. Se non avesse avuto successo come musicista non sarebbe morto per le conseguenze dell’eroina. Precursore anche qui. In realtà è morto perché si è dato troppo e troppo sinceramente alla musica, che considerava un tramite mistico verso Dio. Coltrane non è sopravvissuto alla sua musica, Miles Davis sì, e al termine della carriera, quando ha smesso di suonare, come ultimo lavoro, ha inciso un pessimo disco hip hop, rimaneggiato e pubblicato nel 1992 dopo la sua morte: Doo Bop.
Coltrane si fa subito apprezzare per la precisione e la raffinatezza dei suoi lunghi fraseggi. Ma dopo pochi anni nei suoi torrenti di note hanno cominciato a farsi vivi suoni di lamento, di fatica, inadeguatezza dell’esistenza e delle regole a cui la sua musica doveva sottostare, se voleva continuare a fare jazz con Miles.
Miles Davis diceva poco e niente ai suoi musicisti sulla struttura armonica del brano. Poco e niente in un pezzo jazz dà molto per scontato e contiene molto più di quanto un musicista rock abbia imparato in tutta la sua vita, sia chiaro. Coltrane allora partiva con improvvisazioni su tonalità non contemplate nemmeno dal vago schema armonico disegnato da Miles Davis.
I motivi di partenza erano semplicissimi, come quelli di Miles. Ma mentre Davis eliminava le note, Coltrane scaldava le poche rimaste per farle esplodere in un nuovo universo di suoni. La materia sonora emessa dal sax di Trane diventava ogni volta sempre più densa. Da qui era inevitabile il collasso e poi il big bang che trasformava vibrazioni sonore in luce. Paragoni migliori non ne vengono in mente. Il bagliore lasciato dopo il transito di John Coltrane dalla galassia del jazz all’universo della musica spirituale sarà visibile ancora per secoli, per sempre.
Coltrane ha insegnato come dissonare il motivo facile, anche con frasi che il nostro orecchio preferisce rifiutare. Questo esprimeva un disagio in lui ancestrale e spirituale, che non poteva ancora diventare sociale e poi politico. Il messaggio di rivolta dell’anima è l’eredità che John Coltrane ha lasciato ad altre generazioni e altre musiche. Gli universi paralleli dell’armonia e dell’improvvisazione senza regole, dell’integrazione e della fuga, si sono specchiati per la prima volta nell’ottone bollente di Coltrane e nessuno è stato più in grado di ripetere l’esperimento così bene.
Per uscire dai confini John Coltrane non aveva bisogno di sostanze. L’eroina gli è servita per restare dentro, nel circuito delle stelle del jazz degli anni sessanta, come poi Janis Joplin nel circo hippy del rock, per citare una rapper che molte ottave più in alto gridava soffrendo come il tenore di Coltrane. Lui per uscire dalle regole ha dovuto imparare lo strumento, i canoni, gli standard, ma soprattutto un metodo di studio e di lavoro. Che solo dopo aver padroneggiato alla perfezione si è permesso di rifiutare e trasgredire.
La musica hip hop è ridotta all’osso come le strutture armoniche di Davis e Coltrane. Ma il rap, da un punto di vista strettamente musicale, è nato rinchiuso in se stesso e nelle sue campionature, ed è cresciuto conservatore, meno libero del jazz. Per questo sarà più facile ai nuovi rapper comprendere la propria musica alla perfezione e poi strapparla in mille pezzi.
“So what”. Versione anfetaminica 1960 a Stoccolma. Prima l’assolo di Miles Davis, che fra il minuto 2.45 e 3.00 già vuole allontanarsi dalle armonie jazz finora compatibili con pubblico e critica. Poi Trane al minuto 5.10 il suo assolo abbandona completamente le regole. Non può esagerare perché il maestro di cerimonia è Miles e quindi è un continuo uscire e rientrare nella musica che è costretto a suonare. E questo sforzo si sente tutto. Da confrontare con la versione in studio dello stesso brano per capire bene cosa vuol dire free style.
La testimonianza che John Coltrane ha lasciato all’hip hop si può rintracciare in alcune frange acid jazz come a volte Gil Scott-Heron. E anche nei A Tribe Called Quest. Sono solo due esempi trovati al volo, perché al rap non ci sono arrivato. Devo ancora capire Coltrane.