Per distruggere il Covid-19 stiamo rischiando di distruggere anche l’ambiente
Tra le conseguenze della pandemia meno dibattute c’è certamente quella relativa al suo impatto ambientale. Una conseguenza che potrebbe avere un impatto tremendo su un pianeta già provato dall’inquinamento e dai rifiuti. Sembrano lontani i giorni nei quali ci si rallegrava per il lockdown che, almeno, aveva contribuito a ripulire l’aria e a far tornare gli animali nelle strade deserte delle città. Perché se i miglioramenti di quei giorni, in assenza di un piano per il futuro, si riveleranno certamente effimeri, le conseguenze ambientali negative che rischiamo di portarci appresso da questo periodo potrebbero essere molto durature.
A preoccupare sono innanzitutto i dispositivi di protezione individuali. Ogni giorno nel mondo vengono utilizzati un numero imprecisabile di mascherine chirurgiche e guanti usa e getta. Per dare un’idea solo in Italia, secondo una stima del Politecnico di Torino, ogni mese si stanno usando un miliardo di dispositivi di protezione. “Se anche solo l’1% di questi dispositivi venisse smaltito scorrettamente – ha avvertito il WWF in una nota – questo si tradurrebbe in circa 40 mila chilogrammi di materie plastiche disperse nell’ambiente ogni mese. Solo in Italia. A livello mondiale – contando che buona parte del pianeta non ha sistemi di smaltimento dei rifiuti efficienti – si profila una catastrofe ambientale.
Nell’epicentro mondiale della pandemia, a Wuhan in Cina, durante le fasi più calde dell’emergenza si sono prodotti 200 milioni di tonnellate di rifiuti clinici al giorno, oltre quattro volte di più rispetto a quanto il sistema di smaltimento della provincia potesse riuscire a trattare. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Science of the Total Environment, ha confermato che “molto presto la gestione dei rifiuti sanitari prodotti per proteggersi dal Covid-19 si presenterà come un grande problema per la gestione dei rifiuti e dell’ambiente”.
D’altra parte le conseguenze ambientali dell’utilizzo delle mascherine chirurgiche si stanno già cominciando a vedere anche nei luoghi meno probabili. Le Isole Soko sono un gruppo di 11 atolli disabitati distanti alcune miglia marine da Hong Kong. Qui l’associazione ambientalista Ocean Asia ha documentato la presenza di centinaia di mascherine trasportate dal mare sulle isole e disperse sulla spiaggia. Dove senza interventi rimarranno per secoli ad infestare l’ambiente e a rappresentare rischi per la sopravvivenza di pesci e uccelli.
Questo non è tutto. Perché a rappresentare un pericolo per il pianeta non ci sono solo i dispositivi di protezione individuale. Ovunque nel mondo per disinfettare luoghi pubblici e privati e addirittura intere strade e quartieri si stanno utilizzando nebulizzatori di ipoclorito di sodio. E’ quella che comunemente chiamiamo candeggina. Ora, la candeggina effettivamente pare distruggere il virus (almeno secondo le linee guida dell’Oms), il problema è che uccide anche qualsiasi altra cosa incontri sul suo cammino, i batteri cattivi, ma anche i batteri buoni che supportano la biodiversità, la flora e la fauna.
I rischi sono moltissimi a livello ambientale e di salute per l’uomo e gli animali. Sull’uomo ha effetti cancerogeni ampiamente documentati e può provocare reazioni cutanee anche gravi, specie tra chi vi si trova esposto per maggior tempo, a cominciare dagli addetti alla sanificazione degli ambienti. Inoltre, defluendo nei tombini, la candeggina dove non esiste un buon sistema di depurazione (ovvero in buona parte del mondo, alcune zone d’Italia comprese) finisce nel mare e nei fiumi, inquinandoli e rientrando nella catena alimentare attraverso i pesci e gli animali.
Di fronte a tutto questo molte associazioni ambientaliste hanno lanciato l’allarme: per sconfiggere un virus, che oggettivamente non rientra neppure tra i più terribili della storia dell’umanità, rischiamo di compromettere ulteriormente l’ambiente e la salute umana e animale. Ne vale la pena?