Palmer Luckey: il lato oscuro della tecnologia ed il muro virtuale di Trump
Se c’è una cosa che possiamo aspettarci dagli Stati Uniti è la distopia sempre dietro l’angolo. Il giovane Palmer Luckey incarna come pochi altri lo zeitgeist di questi tempi. È stato il volto della rinascita della realtà virtuale e la sua è la storia di un troll di successo.
Dopo aver costruito un prototipo di visore a partire da componenti comunemente trovate negli smartphone, fondato Oculus e aver portato a termine una delle campagne di Kickstarter più di successo di sempre, ha venduto la sua azienda a Facebook nel 2014, diventando miliardario. Ha saputo cavalcare l’hype: l’ha fatto con la realtà virtuale, poi con Facebook e ora lo sta facendo con Trump e l’Alt-Right.
A settembre 2016 è stato al centro di uno scandalo che lo ha portato all’allontanamento sia da Facebook sia dalla fervente comunità di sviluppatori che si occupano di VR. Fu reso noto alla stampa la sua partecipazione come finanziatore privato a un gruppo di supporto a Trump, Nimble America, dedito a produrre meme irriverenti, provocatori e anche razzisti durante le fasi più concitate della campagna elettorale per denigrare il candidato democratico Hillary Clinton. È stato fin da subito evidente come questo comportamento fosse del tutto incompatibile con la visione globalista prospettata da Zuckerberg nel suo manifesto Building Global Community . Anche se il fondatore di Facebook è fermamente convinto che la realtà virtuale sarà la prossima piattaforma a rivoluzionare il modo in cui comunichiamo, come prima lo sono stati computer e smartphone, il comportamento da troll pro-Trump di Luckey non poteva essere tollerato. Proprio nel periodo post-elettorale in cui il dibattito sulle Fake News che circolano e sono circolate per tutto il social network raggiungeva il suo picco, lo scandalo di Luckey poteva diventare un gigantesco boomerang per le pubbliche relazioni del gigante blu. Dopo qualche mese in cui ha mantenuto un atteggiamento di basso profilo, ha ufficializzato l’addio a Facebook lo scorso marzo.
Da allora, Palmer Luckey non è rimasto certo a piangersi addosso. Anche se la sua principale apparizione pubblica è stata un cosplay di dubbio gusto, sta stringendo relazioni tra il Texas, la California e Washington. In aprile ha, infatti, incontrato un esponente del governo Trump. L’argomento di discussione è stato il famigerato muro con il Messico. E che cosa c’entra Palmer Luckey con questioni di sicurezza nazionale? Lungi dall’essere stato un semplice atteggiamento goliardico limitato all’esperienza di Nimble America, il flirt con il Presidente Trump e la sua amministrazione potrebbe trasformarsi in qualcosa dai tratti inquietanti.
Secondo il New York Times il fondatore di Oculus ha spostato la sua attenzione sulle tecnologie militari di sorveglianza. La sua nuova e “segreta” azienda si occupa, infatti, dello sviluppo di un sistema di telecamere, sensori e droni che può essere utilizzato per presidiare i confini tra gli stati e le aree che ospitano strutture militari: una vera e propria tecnologia di difesa e controllo del territorio reinventata come fosse un videogioco.
La tecnologie utilizzate sono sensori infrarossi e LiDAR (Light Detection and Ranging), un sistema di visione computerizzata utilizzato primariamente nelle macchine a guida autonoma, da integrare in un secondo momento con l’impiego di droni e altre tecnologie di tracciamento. Sembra che Peter Thiel, consigliere tecnologico di Trump, potrebbe intervenire come finanziatore dell’impresa.
Al semplice controllo da remoto tramite un sistema di telecamere di videosorveglianza, le nuove applicazioni basate su LiDAR possono aggiungere una certa dose di intelligenza: tramite algoritmi si possono individuare e tracciare le persone anche in ambienti affollati. Si tratta di un sistema di sorveglianza innovativo e dalle applicazioni tutte da esplorare. Il muro con il Messico potrebbe rivelarsi l’occasione di marketing perfetta per presentare al mondo le sue potenzialità. Le apparecchiature necessarie al suo funzionamento potrebbero essere installate su strutture come pali telefonici. I costi rispetto alla costruzione di un muro di cemento sarebbero decisamente più bassi.
Kickstarter, acquisizione miliardaria, scandalo politico, uscita di scena e una controversa ri-apparizione mediatica: la parabola che Luckey ha attraversato in neanche cinque anni è rivelatrice del lato oscuro della cultura delle startup californiane e ne mette in evidenza alcuni tra gli aspetti meno celebrati. Da sogno tecnologico a distopia il passo può essere incredibilmente breve. La giornalista Violet Blue ha sarcasticamente definito la nuova impresa di Luckey come “una specie di Uber per le retate, o un AirBnB per la deumanizzazione dei migranti”.
Nonostante l’allegria delle sue camicie hawaiane, le derive distopiche di Luckey sono state almeno tre:
- vendita al gigante Facebook dell’azienda simbolo della rinascita della VR, dopo aver raccolto i fondi tramite crowdfunding;
- Partecipazione attiva alla campagna elettorale di Trump tramite il finanziamento di un’organizzazione di area Alt-Right;
- Riapparizione al centro delle cronache come autoproclamatosi disruptor delle tecnologie di sorveglianza.
Palmer Luckey si è alla fine rivelato un piccolo anti-Zuckerberg che oppone le sue barriere virtuali alla fantomatica comunità globale immaginata dalla parte progressista dei giganti di internet. Ci ha mostrato ancora una volta uno dei futuri possibili che ci attendono. Ci ha mostrato come il muro di Trump, o iniziative analoghe, non debbano essere necessariamente essere costruzioni fisiche, muri di cemento armato e filo spinato. Possono diventare barriere virtuali. La linea convenzionale del confine sud degli Stati Uniti sarà forse il primo prototipo di una nuova generazione di strumenti di sorveglianza e controllo. Dopo averci aperto la finestra di accesso ai mondi virtuali, Luckey vuole chiudere le porte del mondo fisico e i confini delle nazioni?