Padroni di ciò che pensiamo e mangiamo
Quando il filosofo Ludwig Feuerbach scrisse che “siamo quello che mangiamo” non stava riferendosi alla cucina sana.
Quello che Feuerbach tentò di esprimere è l’idea secondo la quale tutto ciò che compone la nostra persona, la nostra vita e il nostro animo è materiale, è la ricombinazione di elementi esistenti nel mondo, e perciò quello che ingeriamo è tutto ciò che serve per costruirci.
Ovviamente, il bersaglio critico del filosofo era la convinzione secondo la quale la parte importante della nostra vita non sia composta di materia, ma di spirito, anima o immaterialità. Cibo e filosofia sono da sempre due argomenti strettamente correlati, ma espressi più nelle vite dei pensatori che non nelle loro opere. La cosa interessante da notare è che ogni sistema filosofico può trovare delle correlazioni ben determinate con le abitudini alimentari, quando conosciute, dell’autore che le ha espresse.
Due autori coevi come Spinoza e Leibniz per esempio manifestarono differenze di pensiero enormi, e quelle differenze possono essere ritrovate nella relazione che essi intrattenevano con il cibo. La filosofia di Leibniz, legata fortissimamente al barocco, fu sontuosa e ambiziosa: essa tentava di mettere in relazione in modo scientifico il calcolo matematico e le scienze umane, la logica formale e il funzionamento dell’animo umano. L’ambizione e la maestosità di questo pensiero sono legate in modo indissolubile alla vita di corte che Leibniz, sempre in cerca di protezione da parte di grandi signori del suo secolo, desiderava vivere. E nello stile in cui sono scritte le sue opere, come per esempio il “Saggio di Teodicea sulla Bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male” (poche cose e molto facili, insomma), ritroviamo intatta quella tendenza alla sontuosità che contraddistingueva la sua vita anche alimentare a corte, fatta di banchetti certamente non votati alla frugalità in compagnia di capi di stato e alta aristocrazia.
Dall’altro lato Spinoza, della cui vita alimentare abbiamo maggiori testimonianze dirette, proprio da Leibniz che lo incontrò: «Mangiava sempre zuppa di farro e cipolle, una dieta povera e ripetitiva». Ma è lo stesso Spinoza a dirci che «il primitivo è schiavo delle proprie passioni e si ritiene erroneamente libero. Mano a mano che comprendo la natura dell’essere umano, la passione per il cibo viene sempre meno, e mangio poco, quanto basta per sostentarmi». L’essenzialità è infatti un aspetto che non contraddistingue soltanto l’alimentazione di Spinoza, ma anche il suo pensiero e lo stile in cui egli volle esprimerlo. La grande opera del filosofo fu infatti “Etica” in cui il proposito era quello di «fondare una comprensione dell’uomo e della natura attraverso un ragionamento di tipo geometrico» E che cosa c’è di più essenziale della geometria? Lo stile di Spinoza non lascia spazio alle sbavature, non mette una parola in più di quanto non sia necessario. Parco, come la sua zuppa di farro e cipolla, il pensiero di Spinoza ricalca perfettamente la relazione che egli aveva con il cibo, ma non ci è dato di sapere se fosse la sua alimentazione ad aver ispirato il suo pensiero oppure la filosofia a convincerlo di mangiare così poco.
Quel che possiamo intuire da questa storia è però che siamo davvero ciò che mangiamo. Ma non soltanto nel modo in cui lo intendeva Feuerbach, ma addirittura oltre il suo intento: ciò che mangiamo dà forma non solo a ciò che siamo, organicamente e fisicamente, ma ha una ricaduta sulle nostre idee e sul modo con cui pensiamo, ci esprimiamo, conosciamo noi stessi.
Per questo il filosofo deve sempre mettere in discussione la sua relazione con il cibo. Egli deve essere consapevole che mangiare in un dato modo significa pensare con un certo stile, e non importa se sceglieremo di abbondare con le porzioni come Leibniz o darci all’austerità alimentare come Spinoza. La cosa importante è essere padroni di ciò che mangiamo, così come siamo padroni di ciò che pensiamo.