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OTM, la family 2.0: dalle piazze alle strade di Bologna per diffondere musica e cultura

OTM_Foto Michele LapiniSi sentivano invisibili e hanno trovato nel rap un modo per farsi sentire e nell’hip hop una cultura per stare insieme. Un gruppo di ragazzi nato all’interno del Coordinamento Migranti di Bologna, diverso per origini lingua e storia, ha trovato nella diversità la forza di esprimersi per uscire dall’anonimato e diventare una generazione in movimento. Si chiamano On The Move, sono di Bologna e vogliono costruire uno spazio di confronto aperto con chi ne voglia fare parte. Lo fanno attraverso un laboratorio settimanale di hip hop, incontri e discussioni politiche e sociali, eventi di street basket, manifestazioni e mostre di carattere culturale; e poi grazie alla musica. Dopo il video di dicembre del pezzo “Crisi” di Dies e Sphera, esce oggi il nuovo video di “Al prossimo capitolo”. Entrambe fanno parte del disco C.R.I.S.I, composto da 10 tracce ed interamente autoprodotto scaricabile da Distribuzionidalbasso.com. Ci chiedevamo cosa fosse rimasto oggi delle posse, e visto che le etichette non sono loro gradite, “perché non vogliamo che sia qualcun altro a dirci cosa siamo”, abbiamo fatto una chiacchierata comune, per farcelo spiegare direttamente da loro.

Anche se non vi piacciono le etichette possiamo considerarvi una posse del nuovo millennio?
Otm: Sì, in effetti in molti ci definiscono così, ma crediamo che il termine più adatto a noi non sia “posse”. A noi piace definirci come una “family”. Il termine posse fu usato alla fine degli anni Ottanta inizi Novanta per definire un fenomeno musicale italiano, per lo più legato al genere rap- raggamuffin, nato in sintonia con lo sviluppo dei movimenti legati ai centri sociali. Le tematiche affrontate nei testi erano a sfondo sociale e politico. Noi di Otm abbiamo molto in comune con le posse, prima di tutto perché il nostro laboratorio è nato e continua a svolgere la sua attività in un centro sociale, XM24, in secondo luogo perché in molti dei nostri testi affrontiamo tematiche socio-politiche e infine perché come noi di Otm la posse più importante e storica, l’Isola Posse All Stars, era di Bologna. L’aspetto che ci differenzia, credo, è che la nostra unione/amicizia va anche aldilà della musica o dell’impegno sociale e politico. Noi condividiamo quasi tutto insieme, dalle piccolissime cose alle più importanti e per questo troviamo il termine family più appropriato. Con questo non vogliamo dire che nelle Posse non erano amici e non condividevano tante cose insieme, però con il termine posse si indica una specifica identità, di musica di contenuti. Noi variamo molto soprattutto nei contenuti.

OTM parade_foto MIchele LapiniDallo sport ai laboratori hip hop passando per la politica attiva e l’arte…Qual è il filo conduttore?
Dies: Il filo conduttore è la passione, che ci spinge per riuscire al meglio in tutto ciò che facciamo. Attraverso le serate, le manifestazioni, i testi che scriviamo, le iniziative spotive in piazza e tanto altro, cerchiamo di far sentire la nostra voce, quella dei giovani, che spesso viene messa in secondo piano perché ritenuti non abbastanza responsabili per affrontare certe tematiche.

Otm: Riprendere in mano il nostro futuro mettendoci in gioco in prima persona credo che sia il filo conduttore di tutto. Abbiamo sentito l’esigenza di creare noi qualcosa che dia la possibilità ai nostri interessi di emergere, cercando di dare a tutti l’opportunità di esprimersi e valorizzando le potenzialità che ognuno possiede. Attraverso l’hip hop, lo sport e la socialità cerchiamo di costruire, giorno dopo giorno, spazi di confronto, di riflessione e di azione che producono cambiamento nella città in cui viviamo, lavoriamo e studiamo.

Jhona: Ovviamente con il tempo tra di noi si sono creati rapporti di amicizia e abbiamo cominciato a vederci sempre più spesso, quindi anche questo si può definire parte del filo conduttore.

Perché secondo voi in Italia si guarda al diverso come ad un problema piuttosto che come una risorsa?
Fré: Il diverso in Italia fa quasi paura e me ne rendo conto ogni giorno di più ad esempio tra social network, o semplicemente per strada. L’Italia da questo punto di vista è veramente indietro: solo qui il diverso è ancora considerato un ostacolo più che una risorsa.
Per me questa visone cambierà solo quando verranno spodestate le norme e i pregiudizi sociali instaurati, perché la paura non nasce per caso ma molto spesso viene indotta per mantenere un certo ordine.

Jhona: C’è una grossa paura del diverso nel nostro Paese. Spesso di tende ad escluderlo senza nemmeno farsi un’idea di come sia e di cosa abbia veramente di così diverso dal “normale”, che non è altro che una parola con cui definiamo un insieme di stereotipi creati dalle persone. Credo che tutto questo derivi dall’ignoranza. Inoltre secondo me non bisogna cercare di “stroncare” questo atteggiamento, ma “curarlo” con tutti i mezzi possibili; noi facciamo quello che possiamo con la cultura e la musica, che per noi sono strumenti molto efficaci.

Come funziona il laboratorio hip hop? Che tipo di ragazzi lo frequentano? Che riscontri state avendo?
Dies: Il laboratorio hip hop è un sorta di sala prove dove ci incontriamo, proviamo e soprattutto creiamo con sintonia un prodotto che rispecchia il nostro stato d’animo. Stiamo avendo un riscontro positivo perché stiamo creando un progetto che riesce a legare tutte le cose elencate nella prima domanda con continuità, costanza ma soprattutto con il cuore.

Johna: Il laboratorio hip hop è qualcosa di fantastico. Tutti i ragazzi si riuniscono in un posto dove si crea un clima di collaborazione e di fratellanza che porta avanti il tutto. Per noi fare la musica che ci piace con la gente con cui stiamo bene è una cosa stupenda e io personalmente mi sento molto coinvolto ogni volta che si sta insieme. I ragazzi che lo compongono sono semplicemente studenti di Bologna, interessati a fare hip hop e a stare con gli amici. I riscontri da parte del laboratorio sono sempre stati positivi e credo che la cosa più importante che ho notato del gruppo, è che ogni membro di OTM è migliorato col tempo nella propria disciplina e che la sintonia che si crea a livello musicale tra di noi si rafforza sempre di più.

FOto di Paola Francesca Marino
Credit photo Paola Francesca Marino

Di cosa vi occupate a livello musicale? Che progetti avete in cantiere? E a livello culturale?
Otm: A livello musicale oltre ad avere chi rappa e chi produce beat, ci occupiamo di organizzare serate all’Xm24 e abbiamo iniziato quest’anno ad andare mezz’ora alla settimana il sabato pomeriggio alle 15.30 su radio città Fujiko con un programma chiamato “Catchin’the vibes” dove trasmettiamo la musica che ascoltiamo. I progetti attualmente in cantiere sono “Piroplastique” di Sphera insieme a Rectone della Gens, un disco da solista di Dies, un mixtape da producer by Fato Wild, e un progetto di Jhona aka Laerte insieme a Zoro e Caleb.
Inoltre da più di un anno abbiamo come sede Corte 3 uno spazio che ci è stato concesso dal Quartiere Navile di Bologna dove ci incontriamo per discutere, dove costruiamo altri laboratori culturali, sociali e musicali e soprattutto organizziamo eventi come presentazioni di libri, documentari e mostre.

Siete un gruppo eterogeneo di razze e culture che rifiuta la fastidiosa definizione di seconda generazioni di migranti. Spiegateci perché.
Molti di noi non sono di origine italiana, alcuni di noi sono nati in Italia ma hanno origini straniere altri ancora sono arrivati in Itali da piccoli. Rifiutiamo l’etichetta di seconde generazioni perché la prima generazione quella dei nostri genitori che è arrivata in Italia ha dovuto subire e sta subendo pesantemente gli effetti di norme razziste e sfruttamento sul lavoro. Noi rifiutando l’etichetta di seconda generazione vogliamo invertire questa tendenza perché abbiamo forti ambizioni e progetti di vita in questo paese.

Gli ultimi di solito gridano per far sentire la propria voce. Come interpretate il gesto di protesta di alcuni ragazzi che invece si sono cuciti la bocca?
Otm: se ti riferisci ai ragazzi rinchiusi nei CIE che si sono cuciti la bocca per protesta, il loro gesto è estremo come sono estreme le condizioni che vivono in quei posti. Noi nasciamo all’interno del Coordinamento Migranti di Bologna e da sempre siamo schierati in prima fila contro la legge Bossi-Fini. A causa di questa legge i migranti vivono condizioni disumane senza aver fatto nulla solo per l’assenza di una foglio di carta. Il solo pensiero che uno di noi possa trovarsi in quella situazione ci spinge a opporci con ogni mezzo necessario, dalla musica alla protesta in piazza.

Mario Catania



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