Omicidio stradale: la repressione continua
Dopo averla annunciata con una monumentale propaganda populista, è stata approvata, addirittura ricorrendo al voto di fiducia, una nuova tipologia di reato chiamata omicidio stradale: legge n.41 del 23/03/2016 «Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali». La legge in questione ha introdotto due nuovi articoli nel codice penale (589bis, 590bis). Con le nuove regole chi uccide una persona guidando con un tasso alcolemico oltre 1,5 grammi per litro, o sotto effetto di droghe, rischierà da 8 a 12 anni di carcere. Sarà invece punito con la reclusione da 5 a 10 anni l’omicida il cui tasso alcolemico superi 0,8 g/l’oppure abbia causato l’incidente per condotte di particolare pericolosità. Anche in caso di lesioni stradali aumentano le pene, se chi guida è ubriaco o sotto effetto di sostanze: da 3 a 5 anni per lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime. Se invece il colpevole ha un tasso alcolemico fino a 0,8 g/l o se l’incidente è causato da manovre pericolose la pena sarà da un anno e 6 mesi a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime.
I nuovi articoli, considerati da molti esperti di diritto una mostruosità giuridica, introducono un pericolosissimo concetto di presunzione di colpevolezza sulla base dell’assunzione di sostanze e non sulla concreta responsabilità che la sostanza può aver avuto nell’evento accaduto; un nesso di causa/effetto che va ben oltre i principi giuridici fondamentali, introducendo come prova una soluzione inaccettabile, perché anche se fosse certa la presenza di sostanze al momento dell’incidente, questo non prova che l’incidente sia dovuto a quel comportamento. Vi è poi la difficoltà di individuare, con certezza assoluta, chi ha causato l’incidente o da quali condizioni è stato provocato, con il rischio molto concreto di giudicare colpevole – per il semplice fatto di aver assunto sostanze – chi invece è vittima del sinistro.
Di importanza fondamentale sarà la metodologia con cui si individuerà la presenza di sostanze: per l’alcol c’è l’etilometro che dà una stima abbastanza verosimile, anche se non perfetta; molto peggio nel caso di sostanze stupefacenti, soprattutto per la mancanza di strumenti adeguati a rilevare che il conducente fosse in stato di alterazione al momento dell’incidente, e quindi con il rischio di verificare la semplice presenza nei liquidi biologici di residui senza conoscere il momento in cui è avvenuta l’assunzione.
A tal proposito è risaputa la differente permanenza nel corpo dei metaboliti, che per quanto concerne la cannabis possono rimanere per svariate settimane, con il rischio di colpevolizzazione, in caso di analisi non attendibili o con una difesa non adeguata, di soggetti che non erano sotto alterazione al momento del sinistro. Inoltre, mentre per l’alcol la punibilità è a seconda del differente tasso alcolemico, dando per non rilevante il tasso fino a 0,5 che viene equiparato alla sobrietà assoluta, per le altre sostanze (tutte senza nessuna distinzione) la colpevolezza scatta alla presenza anche di una minima quantità, ponendo sullo stesso piano cannabis, eroina, cocaina, droghe sintetiche, etc.
Da una semplice analisi è evidente che l’intento del legislatore è quello di punire chi abbia utilizzato “sostanze”, rispetto a comportamenti nettamente pericolosi che possono causare sinistri anche gravi, come l’uso del telefonino alla guida (tra le prime cause di incidenti gravi o mortali), ma soprattutto i comportamenti non consoni al codice della strada, che sono si puniti più gravemente, ma in misura minore rispetto all’uso di sostanze, che rappresentano il fulcro di criminalizzazione di questa legge.
Il tentativo operato con questa legge, nelle intenzioni del legislatore, è di responsabilizzare sempre e comunque il conducente, ma senza tener conto dello stato delle strade italiane, la cui manutenzione in alcune zone è inesistente, la segnaletica non visibile o cancellata, macchine parcheggiate in doppia o tripla fila che ostruiscono la visibilità, pedoni che attraversano a caso, ma anche situazioni causate da intemperie più o meno gravi, come fondo stradale bagnato o ghiacciato, nebbia, o situazioni improvvise come il malore di un conducente.
Ora, nonostante il fatto che la sostanza più pericolosa alla guida sia probabilmente l’alcol, è evidente che la categoria più vulnerabile sarà quella dei consumatori di cannabis, sia perché è la sostanza più utilizzata, sia perché è quella più facilmente rilevabile con i metodi di analisi attualmente in uso, anche a distanza di tempo.
Ed inizierà quindi, inevitabilmente, un altro sostanzioso business per gli avvocati, che saranno chiamati nella maggior parte dei casi per dimostrare l’uso pregresso della cannabis, si creeranno di nuovo intralci nei tribunali e forse saranno di nuovo riempite molte celle nelle carceri, con buona pace del buon senso e continuando ad agire con metodi repressivi anziché educativi.
di Davide Corda – ASCIA