Interviste

Officina Zoè

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“Io sono figlia della terra e del cielo stellato la mia anima è celeste, ma voi già lo sapete, sono stanco e sto morendo di sete, presto datemi la fresca acqua che proviene dal lago dei ricordi.”

È sintetizzato in questa frase – afferma Lamberto, uno dei fondatori del gruppo – il significato che esprime la nostra Officina…Finalmente riesco ad ospitare nelle nostre interviste L’officina Zoè, “ensamble” di musica tradizionale, che di certo non ha bisogno di presentazioni, e interpreti del Film “Sangue vivo“ di Edoardo Winspear. Mai come in questo periodo la musica popolare Salentina aveva toccato il suo apice di popolarità se si pensa che l’officina è da poco tornata addirittura dal Giappone, dove sono stati invitati per alcuni concerti. Questo gruppo nasce negli anni novanta con l’intento o forse meglio dire la necessità di scavare nella memoria di questa terra per ritrovare e rifar proprie le tradizioni perdute. È infatti anche grazie a loro se il Salento può ancora custodire intatta questa tradizione “coreutico musicale”, mercé purtroppo da qualche anno, di una sorta di svilimento e mercificazione. Non a caso una delle rubriche di questa rivista, “Sangue vivo”, si chiama come un loro disco-film, non a caso qualche anno fa ho conosciuto quelli che adesso sono diventati cari amici sinceri, si può dire che Danilo una volta mi ha mezzo salvato la vita…Quante cose successe, quante notti d’amore tra tragedie di gioie e turbamenti di passioni; in varie epoche esse sanno…ed anche ne sanno…

– Di soppiatto accendo il registratore sotto la bocca di Lamberto che appena se ne accorge fa – “E ci faci registri? ce vvo sai de’ la vita mia?”

E poi: Perché sei tornato dalla Germania?
L: Quella città cominciava a starmi stretta nonostante tutte le possibilità che mi offriva, infatti avevo cominciato a lavorare come attore; tuttavia dentro di me iniziò a sorgere un richiamo a quelle che sono le origini, un bisogno sempre più impellente di tornare alla propria terra. Questo necessità che sentiva la mia anima si è tramutata con le prime ricerche della nostra vecchia tradizione “coreutico musicale”, da lì cominciarono ad affiorare i ricordi di un ambiente contadino semplice, dove si lavorava duramente, dove la povertà dilagava e si suonava la sera per scacciare le fatiche quotidiane.

Ed è così che nasce il progetto Zoè?
L: Esatto! prima l’incontro con Cinzia e poi con Donatello ha dato vita a quella che all’inizio era chiamata l’officina della vita, (in quanto Zoè in greco significa vita). Uno spazio creato per la ricerca e la riscoperta delle tradizioni musicali della nostra terra, con l’ intento di ridare coscienza e memoria su le sue origini al nostro popolo. Tutto ciò per ridare un identità ad un popolo, in un mondo sempre più globalizzato. Un Popolo che sente forte la sua identità e le sue tradizioni è meno vulnerabile alla globalizzazione. Specie negli anni 90 eravamo all’inizio di un mondo che si costruiva e colorava di un grigio uniforme. La nascita di “terra” il nostro primo Cd ci ha restituito i colori ed i profumi dando vita ad un movimento per la riscoperta di noi stessi.

Raccontami dell’incontro con Edoardo Winspear “Il barone”.
L: È stato un incontro strano e abbastanza casuale, una bellissima energia, tutti e due tornavamo dall’estero, entrambi con lo stesso desiderio di ricerca e riscoperta di una terra che è stata de-storicizzata. Da li il primo film “Pizzicata” che non sarà un Film eccelso, ma è una bella poesia che descrive parte del nostro Salento. E poi “Sangue vivo.” So che il Film sangue vivo prende il nome da un sogno fatto da Cinzia!
CINZIA: è stato qualcosa di molto forte, una mattina mi sono svegliata di soprassalto urlando Sangue vivo! Era qualcosa di molto personale, quasi uno smembramento interiore e sangue che sgorgava.

Un sogno non molto leggero quindi?
C: Già, abbastanza pesante; Poi lo ho raccontato ad Edoardo, dato che ci incontravamo spesso per preparare questo Film e da lì l’idea di chiamarlo Sangue vivo, anche perché credo che rappresentasse bene il percorso che stavamo facendo; come un fuoco che arde sotto la cenere: anche se coperto, resta sempre acceso.

Cambiando argomento. Che è successo con Pino Zimba, uno dei personaggi della vecchia officina, come mai ad un certo punto vi siete separati? Io so che c’era una grande amicizia.
C: Sai come è con lo Zimba, un po’ come nei matrimoni, ci si conosce, ci si innamora, siamo stati bene, ma poi succede che ci si separa. Come tutti ha grandi difetti, però c’è da dire che ha un grande cuore e ci vogliamo ancora bene.
L: La semplicità che si porta dietro la sua famiglia è la grande ricchezza su cui gli auguro di continuare a lavorare…e poi perché nessuno mi chiede di gente come Claudio Miggiano, come Inchingolo, come Ambrogio De Nicola grande virtuoso, creatore degli arrangiamenti di chitarra in Sangue Vivo?

“Il fenomeno” della pizzica porta molti introiti al Salento, da quattro cinque anni sta vivendo ormai la sua apoteosi. Come la pensi sulla mercificazione che questa povera Taranta sta subendo da quest’ondata di folklore? Quasi un milione di partecipanti nella notte di Melpignano. Il Fenomeno della Notte della taranta è un introito, oppure succhia solo soldi al Salento?
L: Intanto bisogna premettere che viviamo in una società che sa mercificare praticamente tutto! Circa quindici anni fa grazie al lavoro di decine di gruppi tra cui gli Zoè, si è lavorato per cercare di riscoprire e trasmettere questa nostra tradizione nei vari concerti. Poi ad un certo punto sono arrivati i politici, gli studiosi, i docenti universitari, e ad oggi quasi quasi mio figlio se vuole imparare la pizzica deve andare nelle università od in una fantomatica scuola del primo “burlino organettaro” che si trova di turno…è questo il danno vero…Noi abbiamo fatto musica anche gratis. Queste persone presentano alle istituzioni progetti per cultura, allo scopo di intascarsi i fondi e poi magari pagare quattro soldi gli artisti. Oggi si arriva a situazioni come la notte della Taranta in cui si sviliscono i gruppi Salentini perché si invitano le “star” e della tradizione rimane ben poco; ciò è assurdo perché quella festa costa tantissimi soldi per pagare le star che invitiamo dall‘estero. Ma stiamo scherzando!?!? quei soldi dovrebbero essere usati in maniera più costruttiva per il Salento, non sopporto veder sperperare migliaia di euro per la notte della Taranta che non porta niente di buono alla nostra cultura, quando in Puglia c’è ancora chi lavora per 20 euro al giorno. Noi Salentini l’entusiasmo già lo avevamo senza la notte della Taranta. Già tinimu santu Vitu, santu Roccu, santu Dunatu, la festa della Focara, la festa te lu Mieru, dove stanno più queste feste? stanno scomparendo! Tutte le risorse vanno in senso unico, se le mangiano i soliti ignoti.

La pizzica nasce come qualcosa che esprime una sofferenza profonda, adesso invece è una danza che sembra più propriamente incarnare qualcosa che assomiglia al corteggiamento ed alla seduzione. Come mai negli anni ha subito questo cambiamento?
L: Siamo più che altro noi a dare il senso che vogliamo a questo ritmo molto trascinante. Il ritmo risponde all’esigenza del tuo cuore in quel momento, serviva a guarire una Tarantata ieri, serve a guarire i nostri mali adesso, che chiaramente non siamo più i tarantati di una volta che ballavano sui cigli delle sedie, ma abbiamo bisogno nello stesso tempo di sfogarci. Soprattutto serve perché abbiamo bisogno di viverci uno spazio “extra”, uno spazio al di fuori della nostra coscienza o se vogliamo una “super coscienza”.

Quant’è che non vai a Torrepaduli per san Rocco e cosa pensi della protesta dei cosiddetti “portatori della tradizione”, che mal sopportano i suonatori di djambè i quali forse contaminano la tradizionalità di quella festa. Pensi sia una forma di razzismo, oppure una forma di protezione?
L: Credo sia una forma di protezione; vedi Filippo io non sono assolutamente razzista e non ho niente in contrario a praticare una “jam session” con altri strumenti, non ci vedo niente di male; noi ultimamente con Baba Sissoku abbiamo trovato il modo di fondere le nostre culture musicali, ma quello che non capisco è… che “di 365 giorni che ci sono in un anno devi venire proprio quel giorno co sto cazzo di djambe lì a romperci li cujuni? scusate, ma questa è la nostra festa”. È anche una forma di rispetto verso gli anziani che portano questa tradizione, da cui noi andavamo con grande umiltà all’inizio per farci re-insegnare le cose dimenticate.

Raccontatemi qualcosa dei concerti in Giappone.
DANILO: E’ tutto un altro mondo, ”Parene fore de capu”…All’inizio del concerto il pubblico mentre ascoltava le canzoni sembrava essere in una sorta di meditazione, tenevano gli occhi chiusi muovevano solo la testa ed i piedi su e giù, ma sempre con gli occhi chiusi. Poi timidamente hanno cominciato a ballare e si sono lasciati andare, è stato davvero entusiasmante.
L: pensa Filippo che anche a Tokio c’è una scuola di pizzica

Una domanda a Danilo: In Salento c’è una forte tradizione legata alla cultura della coltivazione… che mi dici della famosa salentina Doc ???
Caro Filippo ti dico a malincuore che la Salentina è andata persa, oppure è raro trovarla, perché da quando hanno cominciato ad importare l’erba albanese si è mischiato tutto, perdendo il vecchio ibrido. Purtroppo non è facile far capire ai Salentini che sarebbe giusto coltivarsela indoor. Tutti si dicono: “c’è tantu sulee a lu salentu e ma aggiu fare cu le lampade?” Ma non capiscono che facendola indoor eviteresti tanti rischi, fra cui, farsela rubare o essere scoperti. Te la face a casa! te la fumi a ddai nun dai fastidiu a nessuno non dai soldi alla mafia. Te quistu passa…inoltre il piacere di scegliere il gusto e l’effetto che preferisci è una cosa impagabile. Colgo l’occasione per salutare Dario(mitico), Carlo, Tonino e in particolar modo mio fratello Ivano; ai vostri lettori auguro “Dolce vita” a tutti.
C: Saluto anche io Ivano, che se si allenasse sarebbe mejo der fratello…

Una domanda di rito che faccio a tutti gli artisti, cosa pensi della Fini-Giovannardi che equipara le droghe pesanti all’erba e manda in galera giovani ventenni per 4/5 grammi di sostanza?
L: Ci sono tante cose che non mi spiego della politica italiana e questa è una di quelle; è una delle tante contraddizione del nostro paese, quello che non mi spiego è l’accanimento su questa povera pianta, che alla fine non è altro che un buon bicchiere di vino, sicuramente perché proibendola si ingrassano le casse delle mafie e dei cosiddetti centri di recupero per tossici. Se le droghe si liberalizzassero sai la mafia come fallirebbe? Il proibizionismo protegge solo il potere dei criminali.

Qualche domanda al maestro Pisanello, “Don lupis” per gli amici. Sono circa 15/20 anni che suoni musica popolare di riscoperta della tradizione e dato che sei uno dei primi ad averlo fatto avrai di certo potuto vedere il suo inizio, la sua tendenza, la sua consacrazione, fino ad arrivare ai giorni d’oggi nei quali questa povera Taranta viene mercificata come ben sappiamo. Descrivici le tue impressioni su questo excursus che ha fatto la pizzica, ma soprattutto chiediamo al maestro Pisanello. Dove andrà a finire la pizzica?
D: Faccio musica popolare da quando sono nato, ho fondando vari gruppi tipo Radici (1980), gli Alla Bua e gli Officina Zoè, con cui lavoro attualmente. Mi interessa poco il passato perché alla fine, per quanto riguarda la Pizzica nel Salento, si è ridotto ad essere argomento di pettegolezzi e baggianate di gente che, cavalcando il successo, si inventa di avere antenati tarantati o nonni suonatori; quando poi in giro si sa benissimo che si sono inventati tutto! Miseria dell’umanità… Ritengo più interessante invece proprio quello che mi hai chiesto tu, cioè il futuro di questa musica. La Pizzica ancora non ha espresso molte delle sue potenzialità musicali; credo che abbia ancora da dire tanto e questo al di là dei classici e della tradizione. Oggi molti pensano che bisogna rinnovarla attraverso le “contaminazioni” (pop, reggae, jazz, rock, classica etc.), ma ritengo queste posizioni fuorvianti e proprie di chi non ha compreso fino in fondo la Pizzica cogliendone il potenziale creativo.

Faccio a te una domanda politica perché so che sei molto attento in questo senso. è possibile secondo te che le amministrazioni locali possano salvaguardare la tradizione della musica popolare ed i suoi aspetti coreutica, rispettandone l’integrità e la purezza?
D: Innanzitutto è necessario difendere quel poco di tradizionale ancora vivo, poi bisognerebbe risolvere quello che però è un problema generale in Italia, cioè l’attenzione della politica verso la musica che non ha degna considerazione nelle scuole: l’Italia è considerata il paese per eccellenza della musica, eppure paradossalmente nessun ragazzo impara la musica a scuola.

Una domanda su “un pezzo di cuore”. Sei autore e compositore insieme a Cinzia di una delle più ascoltate, amate, e sfruttate canzoni che questo genere musicale conosca. “Don Pizzica”. Che è anche il tuo soprannome. Mai una melodia ha saputo così perfettamente incarnare, la passione, Il dolore, L’amore, trasmettere la sofferenza, la gioia, l’ebbrezza e la rovina, la vita e la morte…
Più che una canzone un opera d’arte, una parodia che assomiglia a quella della vita. Conosco numerose persone che si sono commosse ascoltando questa opera lirica tua e di Cinzia. Ma ci cazzu pensavi quannu l’hai arrangiata? lo sai che viene usata in molti teatri e vari spettacoli?
D: Credo che Don Pizzica sia una pizzica tradizionale, nel senso che la tradizione per me è sempre viva per questo creativa. Oggi molti ragazzi mi chiedono di insegnargliela considerandola appunto una musica tradizionale. Io credo che in fondo le composizioni non sono proprietà del singolo autore, anche se bisogna considerarle tali perché in questo Sistema c’è gente che non si fa scrupoli a specularci sopra e quindi il diritto d’autore rimane, paradossalmente, l’unica forma di difesa. Considero la creatività un patrimonio sociale ma la società deve essere preparata ad accettarlo come tale. Per quanto mi riguarda non ho un metodo per comporre; di solito quando suono mi lascio andare ad allucinazioni auditive: viviamo un’epoca dove l’occhio è l’elemento che determina la realtà, io cerco di affidarmi di più all’orecchio; aspetto il silenzio per scrutare cosa nasconde nel suo profondo e spesso non è proprio silenzio assoluto!

Non mi biasimerà Rachele se per motivi redazionali sono stato costretto a tagliare la domanda dedicata a lei, la sua bellezza e quella della sua voce sapranno colmare questa mancanza… Un abbraccio forte a tutta l’Officina.



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