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Ntò: Il coraggio di sorprendere

NTO' 1Il Coraggio Impossibile” è stato il suo primo disco solista. Uno spartiacque importante. Cosa è cambiato nella vita, personale e artistica, di Ntò? Gliel’abbiamo chiesto in questa intervista, arrivata pochi giorni dopo la consacrazione anche numerica del suo lavoro, ovvero l’ingresso al 18° posto nella classifica generale di vendite italiane. Il dialetto e l’italiano, la fine della storia Co’Sang, il rapporto con Napoli, le vendite, la metrica e il canto. Questo ed altro nelle prossime righe. 

“Il Coraggio Impossibile” è stata una bella sorpresa e chi si aspettava un disco di transizione, dovrà ricredersi. È un po’ la sensazione principale che noi di myHipHop abbiamo colto…

Ci tengo a ringraziarti perché nella recensione hai colto una cosa per me molto importante: ovvero quella di non aver avuto bisogno di step di preparazione a questa nuova veste, ma di aver pubblicato un prodotto già definito. È la cosa cui tenevo di più. Anche le major che ho sentito mi dicevano “dovresti preparare il pubblico, è troppo presto per uscire con questa roba”. La cosa mi ha fatto venire dei dubbi, ma stando alle prime impressioni sembra proprio che questa preparazione non fosse necessaria. Mi rendo conto che prima di Il Coraggio Impossibile non avevo mai pubblicato brani col tiro di “Quando Passi” o la stessa title track, pezzi più “nuovi” per me, ma alla fine sono riuscito nell’intento di sorprendere, dunque ho vinto la mia scommessa.

Je Rappresento”, il singolo con tanto di video che ha anticipato l’album, ha avuto il ruolo di passaggio del testimone in questo senso? Dalla vecchia alla nuova veste?

Fondamentalmente volevo che la gente capisse che io non ho smesso di fare rap in napoletano, nemmeno di parlare di alcune cose. Sia chiaro: io continuo a pensare in napoletano e sono sempre lo stesso uomo di Marianella. So bene, però, che con un disco in dialetto non avrei potuto fare questi numeri. Io sentivo il bisogno di quest’album. Sono orgoglioso che le cose nuove siano piaciute e ciò mi dà la possibilità di continuare a perseguire le due strade, rap in italiano e in dialetto. Sempre con nuove idee, con nuovi spunti. L’utilizzo dell’italiano è una strategia di vendita di qualcosa che comunque è arte: è solo un modo per veicolare la propria opera.

Un mezzo, non un fine dunque. Ora che scriverai sia in dialetto che in italiano, come affronterai di volta in volta la scelta?

Il napoletano, l’italiano, il cantato, il rappato: tutto ciò deve essere al servizio del pezzo. Se devo scrivere un pezzo sulle palazzine, come faccio a farlo in italiano? Per me è un controsenso. La scelta del linguaggio o dell’impostazione deve essere relativa alla tematica e al sound del brano, ovvio. Come suono, dinamica, tecnica e tempi preferisco tutta la vita il rap in napoletano: non sarei quello che sono senza il rap in dialetto. Il dialetto è musicale, ma anche cattivo e nel rap la parola sputata fuori è l’essenza. Metti il rap in francese, è una mitragliata! E poi, le offese? Io non so offendere in italiano! Vuoi mettere “sei una  testa di cazzo” con “si nu scem!”? È più cattivo! (risate ndr)

Ha influito sulla fine dei Co’Sang questa tua scelta di mantenere vivo il dialetto nella tua musica?

Questo è stato uno dei motivi che non ci ha permesso di andare avanti come Co’Sang. Dall’altra parte c’era la volontà ferma di abbandonare il napoletano. Io sono nato esprimendomi in dialetto: non è innato in me l’utilizzo della lingua italiana, dunque non potevo convincermi che fosse giusto abbandonare per sempre il dialetto.

NTO' 3“Il Coraggio Impossibile” ha avuto un grande riscontro anche dal punto di vista delle vendite. Com’è svegliarsi e trovarsi così in alto in classifica?

Stare al 18° posto delle classifiche generali di vendita, con quasi mille dischi in una settimana, è incredibile. Un risultato che non avevo mai visto prima. Già questo è stato rincuorante e spronante. Ciò ha avuto anche il merito di risolvere anche qualche conflitto di attribuzione, diciamo così, sul successo dei Co’Sang. Ora che uno ha la possibilità di misurarsi sul mercato da solo, i risultati magari sono più importanti, più personali. Ripeto: se l’avessi fatto interamente in dialetto non avrei avuto questo risultato, né tanto meno riproponendo qualcosa che avesse il significato dei Co’Sang. La quarta regione in cui ho venduto di più è stata la Lombardia: per molti versi, una statistica importante…

Credi che avresti avuto gli stessi risultati senza proporre un lavoro comunque complesso dal punto di vista tecnico e metrico?

Sono stato assolutamente agevolato dal fatto di aver studiato metricamente il napoletano per quindici anni: farlo in italiano da questo punto di vista mi è risultato più facile. Avevo degli strumenti che dovevo applicare alla nostra lingua. Ho approfondito la dizione, ma ho preferito non accentuarla troppo, altrimenti mi sarei snaturato. Se volevo misurarmi con gli altri rapper italiani, dovevo continuare nello studio del flow, della metrica, altrimenti sarebbe stato un lavoro inutile.

E sul suono, invece? Senza “modernizzarlo”, senza spogliarlo dei cliché del genere?

Teoricamente, chi sperimenta –sempre in una direzione qualitativa- dovrebbe essere premiato. In Italia spesso non è così: per questo è un paese che spaventa. Io sono riuscito, con il rispetto e la stima dei miei ascoltatori, a proporre un ascolto nuovo, più maturo. Orientato al suono della J.U.S.T.I.C.E. League, ad esempio: il mondo si sta muovendo in quella direzione, il suono del real hip hop con le batterie suonate. Sapevo di trovare degli ascoltatori pronti a questo.

Grazie anche a giovani producer e al ruolo importante che hanno avuto veri e propri musicisti. Come hai trovato il compromesso?

Anche questa per me è stata una sfida: io potevo chiedere beat a chiunque, sono sincero. Ma quando tu stai creando un suono, non puoi andare a chiederlo a qualcuno che ne abbia già uno proprio. In questo senso ho “plasmato”, in modo non troppo invasivo, i producer che mi hanno accompagnato. Ragazzi con un grande talento, che ho sensibilizzato al suono che volevo. È stato un influenzarsi reciproco. Per quanto riguarda i musicisti, ti dico che ci sono pezzi come Il Coraggio Impossibile che sono nati da una chitarra. Li proporrò unplugged. Spesso io cito Battisti: è una mia grande fonte di ispirazione, in particolare per il suono che ha la sua musica, quei synth molto soul… favoloso!

nto palaeden hresCredo che la crescita e le evoluzioni personali vadano di pari passo con quelle musicali e una key word per Il Coraggio Impossibile è sicuramente “maturità”…

Sicuro. Riascoltavo i live ai tempi dei Co’Sang: ero molto più arrabbiato. Per strada si sparava, non che adesso non accada, ma allora vivevamo un momento particolare, anche della nostra esistenza. Tra i 20 e i 30 anni ci sono tantissimi step di cambiamento personale, ti evolvi, cresci continuamente. E nel disco ho confluito le esperienze che ho vissuto sulla mia pelle negli ultimi anni. Anche il target di ascoltatore cui volevo indirizzare Il Coraggio Impossibile è più maturo. Senza dimenticare i molti ragazzi giovani che mi seguono e che magari non c’erano ai tempi dei Co’Sang, dunque non fanno raffronti e ascoltano la musica per quella che è. Io gli ho portato la mia realtà nuova senza dimenticare le mie radici.

Adesso il quadro è molto chiaro. Grazie Ntò: ti lasciamo spazio libero!

Sono felice e ringrazio le persone che mi hanno sostenuto. So che chi lo ha fatto è anche chi ama solo il napoletano, dunque sono doppiamente orgoglioso.

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Nicola Pirozzi

 



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