Nicola Gratteri, la cannabis, l’alcol e San Patrignano: quando il proibizionismo diventa ipocrisia
Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, nelle ultime settimane è sempre sui giornali. Dopotutto è stato facile per lui diventare la voce di riferimento di quel fronte proibizionista che, in Parlamento e nella società, si batte contro la legalizzazione della cannabis. Serpelloni è caduto in disgrazia, Gasparri e Giovanardi sono ormai poco spendibili e tolgono maggior consenso di quanto non ne portino.
Gratteri rappresenta un profilo non ancora sovraesposto ed il ruolo di Procuratore della Repubblica gli conferisce un’aura di autorevolezza. Non che si possa considerare un campione di comunicazione, ma è praticamente l’unico tra gli uomini di legge ad essersi espresso contro la legalizzazione, quindi puntare su di lui è stato pressoché d’obbligo.
Ma nelle sue prime uscite pubbliche Gratteri ha anche un po’ esagerato. Ha attribuito ogni sciagura sanitaria e sociale alla cannabis, e questo per i suoi sostenitori va benissimo, ma nella sua furia da profeta anti-vizio si è spinto decisamente oltre affermando che per lui lo stato dovrebbe vietare anche «sigarette, alcol e videopoker».
Il problema è che la comunità di San Patrignano, cioè l’ente che storicamente funge da autorità teorica ed economica per tutto il mondo del proibizionismo italiano, il vino lo produce e lo vende in gran quantità: rossi, bianchi e spumanti commercializzati in tutto il mondo attraverso una miriade di etichette tutte di proprietà della Comunità fondata da Muccioli e finanziata dalla famiglia Moratti: Avi, Aulente Bianco e Rosso, Vie, Noi, Montepirolo, Avi, Ora, Start e Avenir, ‘Ino e Paratino. Oltre 500mila bottiglie ogni anno, da un paio d’anni gestite in collaborazione con il Gruppo Cevico, uno dei giganti dell’enologia italiana con i suoi 150 milioni di euro di fatturato annuo.
E qualcuno tutto questo deve averlo fatto presente al buon Gratteri: tocca quello che vuoi ma lascia stare il vino, ché il compianto Muccioli aveva come motto «chi riesce nelle vigne riesce nella vita» e noi su quelle vigne ci abbiamo costruito un impero.
Detto e fatto. La settimana scorsa Gratteri è intervenuto sul palco del “WeFree Days 2016”, ovvero il forum “contro la violenza e le droghe” che ogni anno si tiene proprio a San Patrignano e ha decisamente corretto il tiro: «La differenza tra il fumo e l’alcol a cui spesso si fa riferimento per giustificare la richiesta di legalizzazione – ha dichiarato – è che chi si avvicina alle sostanze lo fa sicuramente per sballare e finirà nella dipendenza, mentre si può per esempio bere moderatamente».
Sarebbe facile ribattere elencando i numeri dei morti e delle persone in cura per dipendenza da alcol e raffrontarle con i zero (!) morti per cannabis riportati dalla letteratura scientifica. Ma sarebbe tempo sprecato. Ci limitiamo a mettere in luce l’ipocrisia delle sue parole ed ognuno tragga le proprie conclusioni sull’autorevolezza e l’onestà intellettuale di certi nuovi paladini della proibizione (a sostanze alterne).