Nei geni della canapa: le differenze morfologiche tra la varietà industriale e medicinale
La pianta del genere Cannabis è una pianta estremamente versatile negli usi e mutevole nell’aspetto. Attualmente in commercio ne esistono circa 10mila varietà di numerosi tipi: alcune non sono più alte di 30-40 centimetri, altre arrivano addirittura ai 5 metri, poi ci sono quelle che hanno un portamento cespuglioso e massiccio altre invece snello e longilineo, alcune profumano di arancia altre di pino, da alcune si producono semi e fibre (e non solo) da altre potenti infiorescenze medicinali. Insomma è una pianta che Omero definirebbe “πoλύτροπον”, cioè multiforme, come l’ingegno di Ulisse, il mitico eroe epico. C’è da dire che ancora oggi la cannabis sta attraversando turbolenti avventure, tra isole burocratiche e mostri legali, in balia di una vera e propria Odissea legislativa.
Negli anni, la multiforme cannabis ha dato non pochi problemi agli scienziati che si occupano di botanica e di genetica. L’inquadramento tassonomico, cioè il collocamento sulla linea evolutiva delle differenti specie di cannabis, risultò e risulta essere tuttora molto complesso. Tra i primi studiosi a inquadrare la pianta da un punto di vista botanico vi fu Linneo che verso la fine del 1700 ne distinse un genere monotipico: Cannabis sativa, il quale veniva usato principalmente per ricavarne fibra. Nel 1783 il botanico Lamarck identificò una seconda specie denominata Cannabis indica, proveniente dall’India, con caratteristiche fenotipiche e chimiche differenti; la pianta presentava un portamento cespuglioso e da essa si ottenevano infiorescenze dagli effetti narcotici. Nel 1974 Schultes ritenne che la migliore suddivisione dovesse comprendere tre specie: Cannabis sativa L., Cannabis indica Lam., Cannabis ruderalis Janisch. Quest’ultima è caratterizzata da un portamento estremamente basso e da un fotoperiodo diverso rispetto alle prime due specie: poiché può fiorire senza il cambio del fotoperiodo, è la progenitrice di tutti gli ibridi autofiorenti attualmente in commercio.
L’identificazione delle specie di Schultes è attualmente quella adottata dalle seedbank per commercializzare i propri prodotti. Anche se studi recenti individuano il solo genere monotipico Cannabis sativa L. con differenti sottospecie tra le quali spontanea, indica e kafiristanica.
Ad oggi, purtroppo, ancora non si riesce bene a inquadrare geneticamente questa pianta, complice i numerosi ibridi che hanno fatto perdere negli anni le caratteristiche tipiche delle piante originarie. Di una cosa però si è certi grazie alla storia, le prime piante di canapa erano molto diverse rispetto a quelle che coltiviamo oggi.
Le differenze
Una prima differenza risiede nel fusto e nell’infiorescenze delle varietà industriali e medicinali. Uno studio di Small e Marcus del 2002 ne descrive quelle morfologiche. Le cultivar da fibra presentano internodi del fusto molto allungati e poche ramificazioni, inoltre il fusto è molto ricco di fibra legnosa, al contrario le piante da cui si ottiene infiorescenza per scopi medicinali hanno internodi brevi, sono molto ramificate e concentrano le loro energie nel produrre infiorescenze piuttosto che aumentare il contenuto di fibra nel fusto. Di fatto le varietà medicinali producono un maggior numero di infiorescenze le quali risultano essere più compatte e grosse rispetto a quelle prodotte dalle varietà da fibra.
Ma le differenze non finiscono qui, uno studio del 2016 condotto dall’Università di Toronto da parte di Small e Naraine ha messo a confronto la grandezza delle teste dei tricomi ghiandolari delle coltivazioni da fibra e medicinali. I campioni che sono stati analizzati sono:
– 10 coltivazioni industriali provenienti da un erbario dei primi anni Settanta;
– 10 varietà da campioni di erbario antiche dai 99 ai 144 anni. I campioni di tale erbario derivavano probabilmente da piante selvatiche e coltivazioni antiche risalenti alla seconda metà del 1800;
– 10 coltivazioni ad alto tenore di THC (10-20%) usate per scopo medico.
Per i campioni più antichi, i quali sono andati incontro a un processo di degradazione, si è proceduto a convertire i risultati dell’analisi con delle formule appositamente studiate per poter risalire a una stima della grandezza originale dei tricomi. Le 10 coltivazioni industriali e le 10 varietà antiche hanno un diametro medio dei tricomi di 80.6 µm, quelle con il diametro maggiore attualmente coltivabili in Europa e analizzate in tale studio sono la Carmagnola e la Kompolti. Le 10 varietà per scopo medico hanno un diametro medio di circa 128.7 µm.
Da tale studio è evidente che le coltivazioni selezionate a scopi medici abbiano un diametro dei tricomi di molto superiore rispetto alle coltivazioni industriali e ai campioni antichi. L’incremento rispetto a queste ultime due tipologie è del +60%. A livello di volume, i tricomi delle coltivazioni mediche risultano essere il quadruplo rispetto alle coltivazioni industriali.
Facendo un confronto risulta evidente che le coltivazioni medicinali concentrano le loro energie soprattutto per produrre metaboliti. Si può notare una correlazione diretta tra la larghezza dei tricomi e la produzione di cannabinoidi da parte di questi sull’infiorescenze femminili. Di fatto le coltivazioni industriali presentano un diametro inferiore e una produzione di cannabinoidi irrilevante, a parte per due coltivazioni: Kompolti e Carmagnola. Esse infatti presentano un diametro dei tricomi leggermente superiore alla media delle altre industriali, da ciò deriva una produzione di CBD discreta.
Un altro studio condotto dall’Università di Toronto ha messo in evidenza la differenza tra le lunghezze degli stigmi delle coltivazioni industriali selezionate per ottenere fibra e semi con quelli delle coltivazioni selezionate a scopo medicinale. Per tale studio furono analizzate dieci varietà per tipologia. I risultati misero in evidenza come le coltivazioni da fibra e da seme presentavano una minore lunghezza degli stigmi rispetto a quelle medicinali. Si è ipotizzato che il carattere che esprime l’allungamento degli stigmi sia stato selezionato dai coltivatori per ottenere un maggior contenuto di metaboliti dall’infiorescenza femminile.
Tale adattamento deriverebbe dal fatto che le piante, non ricevendo il polline, allungano lo stigma affinché vi siano maggiori possibilità di captare il polline. Il risultato più interessante dimostra che la lunghezza degli stigmi delle coltivazioni selezionate a scopo medicinale è il triplo rispetto a quelle a scopi industriali. Da ciò se ne deduce che una maggiore lunghezza degli stigmi comporta anche un aumento dei cannabinoidi prodotti.
In conclusione, il miglioramento genetico di tale pianta è stato molto rapido e ha permesso una notevole diversificazione della specie a seconda degli usi, le prospettive future lasciano presagire nuovi sviluppi delle cultivar legate all’utilizzo della fibra legnosa in edilizia e lo sviluppo di nuove cultivar che producano un maggior quantitativo di cannabinoidi minori come la tetraidrocannabivarina (THCV), cannabivarina (CBV) e cannabigerolo (CBG) i quali hanno enormi potenzialità mediche.