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Per l’NBA la cannabis non è più doping

Grazie a un accordo tra NBA e NBPA, i giocatori della lega di basket statunitense non saranno più sottoposti a test antidroga per l'uso di cannabis e potranno investire nelle aziende del settore verde

nba cannabis
La National Basketball Association (NBA) e la National Basketball Players Association (NBPA), il sindacato della medesima lega, sono giunti ad un accordo che prevede di rimuovere la cannabis dalle sostanze vietate e, in più, permetterebbe ai giocatori di promuovere l’industria oltre a fare investimenti.

Il patto, che ancora deve essere ratificato da parte dei giocatori e dei governatori delle squadre, segue la decisione della lega di sospendere temporaneamente i test sulla cannabis nelle ultime tre stagioni, con l’intenzione di cancellare definitivamente questa sostanza dai protocolli di controllo della lega.

NBA: PERMESSO SIA IL CONSUMO DI CANNABIS CHE GLI INVESTIMENTI NELL’INDUSTRIA VERDE

L’NBA, data ai giocatori la possibilità di investire nelle aziende produttrici di cannabis, si distinguerebbe particolarmente tra le leghe sportive professionistiche che hanno scelto di muoversi in questa direzione.

Già nel 2020, la Major League Baseball (MLB) dichiarò che gli atleti potevano consumare cannabis nel tempo libero, ma non presentarsi agli allenamenti o agli eventi della squadra sotto effetto di marijuana, arrivando l’anno scorso ad annunciare che le squadre potevano addirittura vendere sponsorizzazioni alle società produttrici di CBD.

Dall'”accordo provvisorio di contrattazione collettiva – annunciato sabato dall’NBA e l’NBPA – i cui dettagli specifici saranno resi disponibili una volta finalizzato il term sheet”, le politiche della lega statunitense di basket si prospettano ancora più permissive.

STOP AI TEST ANTI-CANNABIS: UNA DECISIONE GIÀ PRESA A FINE 2020

Shams Charania, un giornalista sportivo americano, ha riferito che “grazie al nuovo contratto di contrattazione collettiva di sette anni, per i giocatori dell’NBA non sarà più proibito fare uso di marijuana”. Un provvedimento finalmente formalizzato ma già attuato “dalla stagione 2019-20”.

Lo stesso Adam Silver, commissario dell’NBA, dichiarò a fine 2020 che le sue politiche temporanee riguardanti la sospensione dei test sulla cannabis, prese a inizio dello stesso anno con l’inizio della pandemia da coronavirus, potevano diventare permanenti.

“Abbiamo deciso che, dati gli avvenimenti, lo stress e la pressione che i giocatori stanno subendo, non c’è bisogno di agire come il Grande Fratello”, affermò Silver all’epoca. Piuttosto che imporre test a tappeto, “la lega si rivolgerà solo ai giocatori che mostrano segni di dipendenza, non a quelli che fanno uso di cannabis sporadicamente”.

L’ufficializzazione è finalmente arrivata, anche perché delle 30 squadre NBA 15 hanno sede in Stati in cui la cannabis è legale per uso adulto, mentre le restanti in Paesi che ne hanno regolamentato l’applicazione terapeutica.

Decisione che arriva nonostante la WADA (l’agenzia mondiale antidoping), dopo aver annunciato una revisione del divieto internazionale dell’uso di cannabis da parte degli atleti, aveva dichiarato di mantenere la marijuana tra le sostanze proibite perché “viola lo spirito dello sport”.

Scelta che si scontrava con la collaborazione pluriennale tra la star dell’NBA Kevin Durant e Weedmaps, un’azienda tecnologica al servizio dell’industria della cannabis, volta a destigmatizzare questa pianta e raccontare i suoi benefici per il “benessere e il recupero degli atleti”.

Campagna sostenuta anche da Snoop Dogg, icona del rap americano e forte sostenitore della cannabis, che ha più volte dichiarato che le leghe devono smettere di sottoporre gli atleti a test anti-cannabis “e consentire loro di usarla come alternativa agli oppioidi da prescrizione“.



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