Nazismo, ferocia e giustizia
Ma voi l’avete visto il film “Arancia Meccanica”?
Ecco, non so voi, ma io da ragazzo ero un mezzo delinquente, e quasi tutti i miei coetanei lo erano, chi più chi meno. C’è una fase nell’adolescenza in cui ogni comportamento tabù, che infranga le regole, diventa occasione per misurare la propria forza, il proprio coraggio, il proprio valore. Anche quando emula gesti pericolosi, stupidi, crudeli o terribili, anzi, proprio perché considerati tali. Fa parte del processo di crescita e trova spazio in ogni generazione in modo variabile, ma sempre presente.
Gira in rete la foto di tre ragazze che fanno il saluto nazista davanti ai cancelli di Auschwitz. Vibrante condanna sui social, sdegno collettivo, si parla di multe e si invocano condanne detentive. A dirla tutta, una delle tre solleva la mano sinistra a dita aperte, per cui nemmeno si capisce se davvero volessero essere saluti nazisti o che altro. Il loro atteggiamento poi è palesemente scomposto e goliardico, al punto che se mai un ufficiale nazista le avesse passate in rassegna le avrebbe con tutta probabilità sanzionate con la stessa severità. Ma non importa: non mi frega niente se quelle tre sono neonaziste in erba o se stavano solo facendo le sceme, qui prendiamo il caso esclusivamente come spunto di riflessione.
Il babau della nostra cultura è il nazismo. In esso includiamo la somma di crudeltà, malvagità, culto della forza, abuso del debole, glorificazione della ferocia che oggi rifiutiamo culturalmente come mali assoluti, ma che ci piaccia o meno fanno parte della nostra storia e della nostra psiche. La storia della nostra specie è costellata di guerre, massacri, genocidi. Non si tratta di eccessi casuali ma di un preciso, determinato e ricorrente modello di affrontamento dei problemi, dei dissidi, le cui radici sono evidenti nel mondo naturale: gli individui più forti e più feroci sopprimono quelli più deboli e più miti. Nessuna tigre va sotto processo per aver sventrato un cucciolo di zebra e nessuna iena per aver divorato vivo un animale azzoppato. L’essere umano ha adottato questo comportamento verso i suoi simili, è vero, ma anche in questo non è dissimile da altre specie: lotte all’ultimo sangue si svolgono tra gruppi e individui in molte specie animali, dai criceti ai lupi, dai cani agli scimpanzé, e quando non comportano l’uccisione o la mutilazione grave dei nemici non è mai per una qualche forma di pietà ma solo perché sarebbe controproducente, ad esempio per la sicurezza complessiva di un branco. Le lotte intraspecie avvengono per motivi territoriali, per assicurarsi delle risorse, per primeggiare sessualmente, per stabilire gerarchie o ruoli di dominanza sociale. Il nazismo, ma prima di esso molte altre ideologie, non ha fatto che ricalcare questo schema di natura: l’illusione di dividere in razze l’umanità serviva proprio a questo: legittimare mentalmente la ferocia tra “predatori” e “prede”.
Questo vuol forse dire che avevano ragione i nazisti, o che sia “giusto” che il forte massacri il debole? Ovviamente no: vuol dire che “naturale” e “giusto” non sono affatto sinonimi. Questa associazione di significato è una scemenza che abbiamo inventato in cerca di consolazioni. In natura la giustizia non esiste: è una creazione della nostra mente, ed esiste solo nei nostri pensieri. Allora va messo bene a fuoco che la giustizia, l’equità, la pace, la tutela delle minoranze, dei gruppi e degli individui più deboli sono scelte, decisioni razionali, non emotive, che vanno prese con consapevolezza e responsabilità.
Viviamo ancora costantemente immersi in forme diverse di questo paradigma. Gli Stati, le Nazioni, le Aziende, le Multinazionali, le Regioni, i Comuni, i condomini e gli individui non fanno altro che combattere, sfidarsi in lotte all’ultimo sangue, con morti e feriti talvolta simbolici e talvolta assai concreti. Cosa credete che rappresenti un incontro sportivo a squadre se non una battaglia? Cosa rappresenta la competizione sul lavoro, se non la volontà di superare, di arrivare prima, sopra, di schiacciare l’altro per elevare te stesso? Il nostro intero sistema sociale, culturale ed economico è una colossale rappresentazione di queste dinamiche di ferocia, di violenza e di sopraffazione. Percepiamo come un insulto persino venire sorpassati mentre guidiamo, anche se non stiamo andando a raccogliere le stesse risorse, anche se non c’è alcuna competizione in atto, anche se non abbiamo nessuna fretta.
Allora, se vogliamo promuovere l’evoluzione, lo svincolarsi da queste dinamiche, rendiamole anzitutto consapevoli, invece di nasconderle dietro figure simboliche come una svastica nera in campo bianco su sfondo rosso. Invece di nasconderci dietro un dito, invece di condannare a pappagallo il gesto sciocco e provocatorio di tre adolescenti, parliamo di queste dinamiche a scuola, cerchiamo di far capire che non si nasce razzisti o nazisti o violenti, così come non si nasce democratici, pluralisti e tolleranti, ma lo si sceglie. Spieghiamo come la propria identità sia una decisione, una scelta, e che siamo responsabili verso noi stessi e verso gli altri per questa scelta. Rendiamo coscienti e responsabili le nuove generazioni, invece di indicare loro cosa “non devono essere” e cosa invece “devono essere” o anche più subdolamente cosa: “devono VOLER essere”. Senza coscienza, non c’è libertà.