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Natalino Balasso: “Diamoci una calmata sociale e fumiamoci 2 pipate di canapa in santa pace”

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Nella speranza di una società più serena e meno frenetica Natalino Balasso consiglia di “fumare 2 pipate di canapa in santa pace”.
L’ironia cinica e tagliente del comico di origini venete apre gli occhi sulle barriere mentali che circondano e influenzano quotidianamente ognuno di noi. Il meschino gioco della manipolazione e della creazione dei bisogni fittizi, tipico della nostra società dei consumi, viene scoperchiato da Balasso che ci mette di fronte alla realtà dei fatti. Una realtà in cui l’individuo è mera merce e di conseguenza è più facile proibire, nonostante non abbia mai portato nulla di buono, che educare perché la conoscenza si sa è l’arma migliore (di cui tutti dovremmo munirci!).

Secondo le tue affermazioni abbiamo una buona intelligenza individuale ma una certa stupidità collettiva. Quindi evitiamo di stare in gruppo?
Non possiamo evitare di stare in gruppo, l’uomo non è solo un animale politico, è anche l’animale più collaborativo che esista. Quello che stiamo facendo adesso, questa intervista, prevede la partecipazione di centinaia di persone, da chi ha affinato l’uso della parola, a chi si occupa di internet e social network, a chi cura gli impianti elettrici, a chi ha costruito computer e tastiere e non dimentichiamo gli insegnanti che quando eravamo piccoli ci hanno insegnato a fare gli errori che facciamo. L’uomo è estremamente collaborativo, che poi collabori a produrre cazzate, questo è un altro discorso.

Qual è il tuo background culturale?
È un background che non prevede la parola background. Ho letto e leggo di tutto, dai fumetti a Proust, sono un avido consumatore di film, anche horror, ma consumo tutto scendendo di poco in profondità, sono un semplice curioso. Scolasticamente ho fatto il classico, con un profitto mediocre. Non mi sono laureato.

L’informazione in Italia è messa male: tu dove e come ti informi?
Generalmente non ho una gran voglia di informarmi, fare la tara delle notizie è quasi impossibile, visto che i media appartengono sempre a qualcuno. In una nazione corrotta l’informazione è corrotta, quindi non si può sperare che diventi un compartimento stagno, impermeabile al resto della società. I giornali rimangono però una fonte importante.

Il video “testimonial Mercedes” di 3 anni fa ha più di 1 milione di visualizzazioni ed il tormentone “poveraccio” è sempre attuale. Il ribaltamento del messaggio pubblicitario è emblematico nello spiegare la filosofia di vita consumistica che riguarda un po’ tutto e non solo i beni di lusso; potresti raccontare la genesi di questi video?
Le visualizzazioni sono solo numeri, la domanda interessante sarebbe: cos’ha capito tutta questa gente di quello che ha visto? Da lì parte l’idea dei video che faccio. I nostri desideri sono indotti, dal momento che tutti si agisce per emulazione; chi salirebbe su una moto d’acqua se non avesse visto gli altri farlo? La pubblicità usa un linguaggio incoraggiante, il tono delle voci è lo stesso della mamma quando vuole far bere lo sciroppo al bambino: dimentica il disgusto e pensa ai lati positivi. Imbambolati da queste voci quotidiane, siamo incapaci di critica vera, di una critica che non nasca dall’astio o dall’invidia. A me non interessa il prodotto, mi interessa chi lo acquista. Nel video della Mercedes l’auto conta poco, potrebbe essere una Ferrari o un Rolex, o un paio di scarpe da tennis; quello che conta è il meccanismo che fa sì che molta gente desideri qualcosa che non gli serve e sia disposta a grandi sacrifici per averla. Questo riguarda i miei video della serie “Testimonial”, poi ne ho fatti altri che si potrebbero definire dei corti all’interno della mente.

Non si vede più la pubblicità nei tuoi video su YouTube. Alla fine hai vinto la tua battaglia contro il colosso della video-comunicazione?
Non credo di aver vinto qualcosa. Io avevo smesso di postare video perché ci mettevano la pubblicità. Poi la pubblicità è sparita e io sono tornato a postare video, ma non so dirti se tutto questo sia consequenziale.

“1992” è il titolo della nuova serie in cui interpreterai il magistrato Piercamillo Davigo. Raccontaci qualcosa a riguardo.
Dovete chiedere a Stefano Accorsi, che è l’ideatore e protagonista della serie, o a Giuseppe Gagliardi, che è il regista. Io ho fatto solo l’attore in una ventina d’inquadrature, tutto qui. Mi è molto piaciuta la sceneggiatura, come mi era piaciuta la sceneggiatura de “Il segreto dell’acqua”. In 1992, interpreto Pier Camillo Davigo, un uomo di destra che si può definire progressista, lui mi è molto simpatico, ma non ho cercato l’imitazione del personaggio, abbiamo scelto la linea registica di una caratterizzazione che scendesse in profondità e che non si fermasse a un’imitazione superficiale.

Meglio la tv, il teatro o il web?
Sono tre linguaggi differenti. Quello che ho sempre considerato il mio mestiere è il teatro. La tv è un hobby e faccio sempre più fatica a rapportarmi con chi la dirige, perché è tutta gente che deve rispondere a qualcuno, mentre io sono un uomo libero. Il web è una cosa molto più complessa, è fatto da chi produce e da chi fruisce e le due componenti partecipano allo stesso modo, c’è il vantaggio che tu puoi annullare tutto quell’apparato di magnaccia costituito dagli agenti, dai produttori, dai funzionari, e rivolgerti direttamente a chi “consuma” la tua arte. Ma c’è lo svantaggio che, avendo tutti la stessa importanza comunicativa, il contenuto di uno studioso molto capace ha lo stesso valore del contenuto di un coglione.

C’è un personaggio dei tuoi a cui sei particolarmente affezionato?
No, non c’è.

Sappiamo che non partecipi ad alcun evento di gruppi politici né ti schieri con alcun partito. Non pensi sia importante per un “opinion leader” (passaci il termine) come te, prendere posizione?
Un opinion leader diventa tale solo nella mente di chi lo ascolta. Io ho sempre detto che nessuno vede la realtà, viviamo tutti dentro il nostro racconto, quindi anche il mio non può essere che un racconto. Come posso pensare di avere capito la verità? Come posso pensare di indicare a qualcuno la via del cielo, quando non so neanche dove si trovi il cielo? Quello che posso fare è dire che chiunque ci racconti di avere capito la verità mente.

Nel discorso di fine anno hai invitato tutti a fumare canapa. A tal proposito (e aldilà del lato ironico) cosa ne pensi di questa pianta e come vedi il suo futuro?
Dovremmo darci una calmata sociale e, visto che non ne siamo capaci da soli, saremo costretti a usare coadiuvanti naturali. La canapa veniva usata per molte cose, il fumo era un aspetto marginale di questa coltivazione. Come ha detto Beppe Grillo tanti anni fa, proibire una pianta è ridicolo. Riguardo al fumo io sono dell’idea che lo sballo religioso dovrebbe rimanere nell’ambito del perimetro mistico. Vedere gente sballata per strada non mi ha mai dato l’idea di libertà. Ma questo non si cura con le proibizioni, piuttosto con un’educazione che ci difenda dai richiami dei venditori di merci, e chi la vuole un’educazione così? Ora qualunque cosa, qualunque individuo, diventa merce, è molto più facile proibire che educare.

“Panem et circenses”: da oltre 2mila anni continuano a fotterci nello stesso modo. Cambierà mai questo Paese? Come?
Nessuno ti dà pane e nemmeno circensi, ti devi pagare tutto. Il tuo lavoro, il tuo denaro, che altro non è che il conteggio del tempo che impieghi a fare lo schiavo, è dedicato a inseguire desideri che non avresti mai avuto da solo. Il circo dei romani altro non è che quello che Caparezza chiama il “tunnel del divertimento”, che non significa solo guardare i talent alla tv, ma significa anche interessarsi di politica, seguire la moda, ricercare un proprio look, adeguarsi a quella cosa immaginaria che chiamano “identità”. Tutte queste cose hanno un prezzo, pensiamo solo al tempo della nostra vita che passiamo a guardare insulsi messaggi commerciali; al di là degli insulsi programmi, degli insulsi film, il cui scopo è quello di tenerci occupati mentre i ladri di pensiero depredano il nostro cervello. È intrattenimento, ogni politico dovrebbe avere chiara l’idea che, stando così le cose, il suo ruolo è quello d’intrattenere il popolo.

Ma facciamo bene noi, a lottare e sperare ancora in un mondo migliore o non c’è speranza?
Quello della lotta è un retaggio retorico legato al nostro mondo animale. Gli individui vengono fregati a furia di luoghi comuni; la lotta, il coraggio, la resistenza, sono doti maschili legate alla conquista. Il terrorismo, ad esempio, nasconde una truffa mentale: diciamo che a me piace mettere bombe e ammazzare la gente, ma non posso farlo gratuitamente, ho bisogno di un discorso logico che giustifichi i miei crimini e li ponga sotto la luce della vendetta sociale, della giustizia. Allora m’invento il terrorismo, sono un criminale, un serial killer, ma dico di essere un vendicatore sociale. Riabilito me stesso ai miei occhi. Uno dei miei maestri di pensiero, Maurizio Grande, diceva ai ragazzi della Sapienza di Roma, ai tempi del terrorismo: «Volete fare veramente la rivoluzione? Andate a casa e uccidete i vostri padri. È facile uccidere i padri degli altri».
Riguardo al mondo migliore, anche questo è un luogo comune difficile da interpretare. Cos’è un mondo migliore? Tutti dicono di volere un mondo migliore, ma ognuno ha un suo racconto personale di questo mondo, per molti il mondo migliore è un mondo in cui i delinquenti sono in galera, per molti in questo mondo migliore non si mangiano animali, per molti ci si può drogare, per molti non ci si droga, per molti non ci sono regole di convivenza. In quale mondo migliore bisogna dunque sperare, visto che ognuno ha il suo? Lo Stato Islamico che tanta morte sta seminando, propugna l’ideale di un mondo migliore, il nazismo propugnava l’ideale di un mondo migliore.
Forse sarebbe il caso di cominciare a sperare in un mondo in cui gli individui la smettano di voler cambiare il mondo e affrontino il difficile compito di cambiare i propri comportamenti.

con la collaborazione di Matteo Gracis



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