Mostri, ‘ndrangheta e puzza di censura: la piovra di Romeo scuote Rosarno
Giù le zampe dal pezzo di Romeo. Sì, avete letto bene, le zampe. Perché se la censura in generale è un atto barbaro, il solo pensare di cancellare un’opera di denuncia, non può essere che un’azione da bestie, considerando solo gli istinti meno nobili che i cari amici animali sanno esprimere. Mi riferisco alla piovra che il giovane artista calabrese Domenico Romeo ha dipinto a Rosarno, in occasione del festival “Rigenerazione urbana” che dal 15 al 29 settembre offrirà spunti per dibattiti e iniziative, cercando di coinvolgere i cittadini con gli interventi di architetti, designer e artisti di livello internazionale. Sarà che qualcuno nel vedere quel mostro si è spaventato, o più verosimilmente che a causa del pensiero comune che associa i tentacoli del mostro a quelli delle mafie che arrivano dappertutto, si sarà infastidito, fatto sta che abbiamo avuto l’ennesima conferma di come le cose, in questo nostro strano Paese, girino sempre al contrario. Un giovane artista italiano, calabrese, nello specifico di Palmi, a pochi chilometri da Rosarno, realizza un’opera per la città, nell’ambito di un festival che è l’ennesimo mattone su cui si sta provando a costruire un futuro con la testa alta, in grado di guardare lontano, e qual è la reazione? Una raccolta firme per cancellarlo. Incredibile direte voi. Invece purtroppo, è tutto vero. Il motivo? L’aver trasformato Rosarno, con la sua opera, nel paese simbolo della ‘ndrangheta. Un po’ come quando fu chiesto di cambiare nome all’aeroporto Falcone Borsellino perché era un brutto messaggio per i turisti che arrivavano a godere delle bellezze della Sicilia. O come quando Berlusconi spiegò che era colpa de “La piovra”, serie televisiva degli anni ’80, se le mafie italiane erano così famose nel mondo.
Cosa è successo?
Semplicemente un gruppo di persone ha fatto partire una raccolta firme chiedendo che venga cancellato. Io credo che nessuno possa porre veti sull’espressività di chicchessia, men che meno di un artista, a meno che non ci sia un offesa di mezzo. E arrivare a voler tappare la bocca a qualcuno credo sia sintomo di ignoranza. Cancellare un pezzo non può che ricordarmi cosa successe a Blu anni fa in occasione dell’esposizione al Moka di Los Angeles, quando le sue bare di soldati americani, ricoperte da banconote da un dollaro invece che dalle bandiere a stelle e strisce, furono cancellate con una mano di vernice prima dell’inizio dell’esposizione. Comunque credo sia una dinamica di paese in cui un gruppo di persone vuole sfruttare la situazione per andare contro la giunta comunale. Infatti è stata accusata l’associazione “A di città”, che ha creato l’evento collaborando col comune, di avermi pagato 3500 euro. Non ho preso un euro, nemmeno i rimborsi dei materiali, visto che li avevano già acquistati loro (per la cifra di 78 euro, ndr), e sono stato orgoglioso di averlo fatto gratis.
Che significato ha la piovra infilzata?
In questi giorni in cui si è alzato questo polverone nessuno è venuto a chiedermi cosa volessi rappresentare o cosa rappresenti in effetti il dipinto. Non è solo il mostro coi tentacoli che tutti identificano nelle mafie. Per me, che ho sempre inteso l’arte come un percorso interiore, più che come strumento di denuncia sociale, significa un’altra cosa. La piovra è il mostro interiore per eccellenza, la bestia che da forma alle proprie paure, quella che il cittadino medio, qui come nel resto della Calabria, ha dentro di sé: la paura che ti fa abbassare la testa e non ti fa reagire a certe dinamiche. E che ci sia di mezzo la ‘ndrangheta o lo Stato non importa. Volevo dare un segnale positivo, perché qui le cose, grazie all’impegno di molti cittadini, stanno lentamente cambiando, ma è necessario che ognuno uccida la piovra e l’indifferenza che cova dentro di sé. E’ dal risveglio del singolo che si può sperare in un futuro migliore per tutti.
Cambiando argomento: come sei arrivato a scrivere un alfabeto tuo che conosci solo tu?
Mi sono sempre piaciute le parole e lingue: più sono criptiche e vengono da altri mondi, più mi intrigano. A 13 anni disegnavo le lettere in gotico senza sapere cosa fossero e senza aver la minima nozione di calligrafia o di come si usino pennello e pennino.
E quindi l’hai inventato dal nulla?
No. Il fatto è che io di notte parlo una lingua incomprensibile. O meglio, ho scoperto nel tempo grazie a varie persone che hanno dormito con me, che, quando sogno, emetto dei versi senza senso. Così ho cominciato a tenere di fianco al letto un quaderno. La mattina, quando mi svegliavo, cercavo di rappresentare il sogno tramite le immagini. L’alfabeto è nato nel tentativo di dare una veste grafica ai suoni incomprensibili che emetto durante il sonno. Da lì, quasi per gioco, ho concepito questo alfabeto che conosco solo io, che è composto da 26 lettere, come il nostro, più una, che rappresenta lo spazio tra le parole, per fare in modo che quando scrivo sembri ancora tutto più criptico.
E quindi nei tuoi dipinti scrivi frasi che non possiamo capire o usi solo i caratteri che hai inventato come riempimento?
Entrambe le cose. A Rosarno li ho usati solo come riempimento, ma, ad esempio in via Galvani a Roma, le ho usate per scrivere una frase.
Posso chiederti se la tua barba lunga ha qualche significato?
E’ una cosa che sanno in pochi. Ho smesso di tagliarmi la barba da quando ho pubblicato il mio libro con gli schizzi dei sogni e dell’alfabeto, che è stato l’inizio di tutto quanto. Alcuni miei amici responsabili di Dude Magazine, volevano pubblicarlo. All’inizio feci qualche resistenza, era un lavoro intimo e non volevo mostrarlo, ne ero quasi geloso. Ma ero anche lusingato dalla proposta e quindi accettai.
E da lì cos’è successo?
Che Stefano S. Antonelli, fondatore della galleria d’arte romana 999Contemporary ha visto la pubblicazione ed ha avuto l’idea di esporre tutte e 27 le mie lettere creando un’unica opera collegata, come l’alfabeto. E poi è stato lui a chiedermi perché non mi cimentassi con qualche muro. Io continuo a non considerarmi uno street artist, anche se le superfici grandi mi piacciono. Però sono abituato al buio della mia cameretta e all’intimità del mio quaderno.
Foto di: Danilo Muratore, Lorenzo Gallitto -the blind eye factory, Arianna Barone
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Mario Catania