Morti da cannabis? L’aspirina, come farmaco, è mille volte più letale
E’ da molti anni che qualcuno prova a dimostrare un decesso causato dalla cannabis. Negli anni ’80 la Dea in vari esperimenti con cavie ha cercato di determinare il livello DL50 (Dose letale 50) della cannabis e cioè un parametro in uso fino aprimi anni del 2000 che indica la quantità di una sostanza (somministrata in una volta sola), in grado di uccidere il 50% di una popolazione campione di cavie.
Nel 1988 proprio la Dea arrivò alla conclusione che: “Al giorno d’oggi si stima che il livello di DL50 nella marijuana sia intorno ai 1:20.000 o 1:40.000. In parole povere significa che per morire, un fumatore dovrebbe consumare dalle 20.000 alle 40.000 volte il dosaggio normalmente contenuto in una sigaretta a base di marijuana. Dovrebbe quindi fumare circa 680 kg di marijuana in circa 15 minuti per avere un effetto letale”. Per fare un confronto: il livello LD-50 dell’aspirina è intorno ai 1:20, il che significa che stando a questi parametri, più volte ripresi da ricercatori, attivisti ed esperti, l’aspirina è almeno mille volte più letale della cannabis. Non solo, perché per la maggior parte dei farmaci da prescrizione il rapporto è di 1:10.
In tutto questo la notizia più recente, rilanciata in modo sensazionalistico da moltissimi giornali in tutto il mondo, è stata la pubblicazione di uno studio scientifico sulla rivista Forensic Science International e guidato dal dottor Benno Hartung. Il dottore sostiene che, dopo aver effettuato studi post mortem su 15 cansumatori di cannabis, per due di loro la causa del decesso non può essere altro che la cannabis stessa. L’equazione fatta dalla stampa di mezzo mondo è stata: “La cannabis può uccidere”.
La prima reazione è arrivata dal dottor Grotenhermen, esperto di cannabis, che ha puntualizzato che: “Se si potesse dire di ogni medicinale, dopo decenni di somministrazione, che abbiamo riscontrato solo ora i primi due casi di morte, ci sarebbe da entusiasmarsi. Con i medicinali è una cosa che accade molto raramente. Si tratta di una sostanza molto sicura e i due casi di morte non cambiano la situazione”. Inoltre, come ha raccontato in alcune interviste parlando dello studio dei colleghi di Düsseldorf: “Di solito è difficile trovare una vera causa nei casi di attacchi di cuore improvvisi e anche se si trovassero livelli alti di THC nei pazienti la cosa non sarebbe necessariamente una prova”.
Poi è stata la volta di Jost Leune, a capo della FDR, associazione tedesca che si occupa di droghe e tossicodipendenze, che ha puntualizzato che: “La cannabis non paralizza la respirazione o il cuore. I decessi dovuti ad uso di cannabis sono di solito incidenti non causati dalla sostanza, ma alle circostanze di utilizzo”, aggiungendo che: “Le affermazioni fatte dagli autori dello studio sono state esagerate”.
Come abbiamo raccontato in questo articolo, un po’ di chiarezza a livello scientifico è stata fatta di recente da uno studio dei ricercatori del centro neurologico Magendie di Bordeaux, pubblicato sulla rivista Science. Il dottor Pier Vincenzo Piazza, uno degli autori dello studio, ha spiegato che: “Quando il cervello è stimolato da alte dosi di THC, produce un aumento del 3mila % di pregnenolone, un ormone che inibisce gli effetti del THC, prevenendo eventuali effetti di intossicazione”. Lo studio, originariamente pensato per lo sviluppo di un trattamento per contrastare la dipendenza da cannabis, è stata accolto dagli accademici con diverse interpretazioni.
Mitch Earleywine, professore di psicologia presso l’Università di Albany, sostiene che: “Considerando i bassi tassi di dipendenza da cannabis, lo sviluppo di un farmaco per contrastare l’abuso di cannabis non sarebbe una cosa necessaria. Anche se gli autori spiegano lo studio come un nuovo modo di trattare l’abuso di cannabis, in realtà è una superba – parziale – spiegazione del perché la cannabis non sembri avere nessuna potenziale dose letale e del perché la sua capacità di creare dipendenza è più simile a quella della caffeina piuttosto che a quella di qualsiasi altra droga illecita”.
Un altro studio, pubblicato nel 2006 da American Scientist spiegava che un fumatore di cannabis avrebbe bisogno di consumare 1.000 volte una dose che faccia effetto per essere a rischio di overdose (nella foto), mentre con l’alcool si rischia già con 10 volte in più.