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Milano bella ipocrita: celebra Banksy ma arresta ancora i writer

Milano, novembre 2018. Al tempo il Museo delle culture di Milano (il Mudec) aveva inaugurato da pochi giorni una mostra dedicata a Banksy, il writer inglese che pone una lente d’ingrandimento sulle contraddizioni della contemporaneità. L’artista, oggi di fama mondiale al pari del Cavaliere Oscuro, ha impreziosito muri e pareti del mondo con opere più o meno complesse, disegni e caricature che fanno leva sul senso di ingiustizia e incoerenza della società odierna. Da qui le sue trovate geniali e ribelli come il quadro che si autodistrugge subito dopo l’asta di vendita, o l’introduzione illegale e sotterranea fino alla Striscia di Gaza. La scelta di mantenere anonima la sua identità lo rende sfuggente e inafferrabile ma ovunque Banksy si reca lascia un suo segno che nel giro di poche ore diventa virale.

Ma torniamo a quella mostra. Al Mudec arrivano migliaia di persone, anche i volti celebri del capoluogo meneghino si aggirano sorridenti e affascinati nel percorso di “Visual Protest” proiettato fra le stanze dell’enorme installazione artistica. L’esposizione in sé è un successo, ci sono brochure in ventiquattro lingue, tour guidati e scolaresche che studiano la psicogeografia controcorrente dell’artista. L’interesse è tale che il Mudec riceve dal Comune di Milano appoggio e sostegno finanziario per portare avanti la mostra sino alla primavera del 2019.

In pratica il maggior sponsor e amante italiano di Banksy è lo stesso ente pubblico che da anni si impegna a perseguire i writers.

Milano bella ipocrita: celebra Banksy ma arresta ancora i writer

Facendosi carico di una guerra nei confronti degli artisti di strada, il Comune di Milano continua a rifiutare in blocco proposte e progetti, si arrampica su specchi crepati di buoncostume per non concedere commissioni e spazi da riqualificare. Spesso capita che poi le richieste fatte debbano seguire un iter burocratico complesso, la cui fine va cercata col lanternino. Dunque, non si accettano proposte da artisti conclamati, non si perdonano i graffitari che scribacchiano le loro tag, si cercano e si incriminano i ragazzi che disegnano sopra un treno in deposito, li si insegue e denuncia sotto le tettoie di Stazione Centrale, però si celebra Banksy, si stringe la sua metaforica mano con la nostra impolverata di ipocrisia. Ci si meraviglia del genio artistico di un anonimo pensatore mentre si tagliano fuori dal contesto culturale tutti i ragazzi senza volto che vorrebbero essere artisti, ma a cui non viene dato spazio né voce.

Con l’abbondanza dei muri nascosti e anonimi di questa città si potrebbe dare risonanza ad artisti con idee nuove e capacità ben oltre a quelle del ragazzino che scrive il suo nome con un pennarello indelebile nel centro storico. Si sarebbero potuti fare passi avanti nella depenalizzazione degli artisti di strada che presentano un progetto di senso estetico e logico, separandoli da una grande macchia di giovani che confonde l’arte con lo scarabocchio. Ma si è preferito continuare sulla rotta di sempre, lasciare che fosse tutto un gran calderone di illegalità e criminalità, nonché allontanare l’idea della città pensata come collaborazione fra cittadini e istituzioni.

Dal 2016 a questa parte Milano è stata la città che più fra tutte ha armato gruppi task force adibiti unicamente all’identificazione, inseguimento e perquisizione dei writer e delle loro abitazioni. Un longevo gioco non a somma zero iniziato dieci anni fa, dove i writer del capoluogo lombardo vengono imputati di associazione a delinquere, e il Comune di Milano asseconda il degrado, salvandosi però la reputazione di città dabbene.

Era infatti il 2011 quando una catena di arresti e procedimenti penali si è riversata nell’hinterland milanese, imputando a più di duecento soggetti il reato di vandalismo (dai sei mesi ai tre anni di reclusione). Fino alla nomina del sindaco Sala i numeri parlavano di 150 arresti e quasi il doppio degli imputati, ma è proprio negli ultimi quattro anni che le azioni della polizia contro i writer sono diventate più intense e che l’intolleranza contro gli street artist è diventata lotta per la difesa della città. Portavoce di una guerra già in corso, il sindaco si è fatto rappresentante della parte civile offesa e ha incrementato le voci contro gli artisti di strada. “Perseguire chi non rispetta Milano” è lo slogan con cui il comune meneghino, insieme alla Polizia Locale e Ferroviaria, esalta una battaglia anti-vandalismo costosa e corrosa.

A Gennaio 2020 la procura di Milano ha formulato una richiesta di processo per associazione a delinquere nei confronti di un gruppo di writers molto noto e ben organizzato, i Wca (We can all), da circa 20 anni operativi in diverse aree del mondo. La crew, imputabile di “writing vandalico”, si contraddistingue per le tag tracciate con le bombolette spray sopra i vagoni dei treni e, dal 2001, si muove dal capoluogo lombardo alla Spagna, dalla Germania alla Francia, fino ad alcune città dell’Australia. Solo a Milano però la loro attività di street artist è stata accorpata di default al reato di associazione a delinquere. Decisione presa, oltretutto, dallo stesso sindaco che applaudiva le opere di Banksy esposte al Mudec.

Sembra quindi che la città di Milano abbia scelto di dividere i graffiti in due macrocategorie: da un lato, un graffito mansueto, insignificante, tollerato, che contorna il panorama degradato di alcuni quartieri periferici dove il piccolo writer viene ignorato, in quanto lontano dal centro storico; dall’altro lato, invece, il graffito specchio del malessere comune, della lotta sociale, disarmonico e illegale, cattivo e preoccupante. Un graffito da inseguire e processare perché posto troppo vicino alla luce dei riflettori di una città che vuole apparire pulita. E nella sua pulizia preferisce abbattere un muro che vederlo dipinto di nuovi colori.

Di fronte a questa contrapposizione così forte fra il pensiero e la messa in atto, fra la promozione dell’arte come ribellione e l’azione persecutoria nei confronti degli street artist, è lecito domandarsi se il comune di Milano abbia mai accompagnato le proprie iniziative culturali a una reale partecipazione di artisti e giovani aspiranti che desiderano vedere i contorni della città più colorati ed espressivi, ricchi di murales come quelli che si vedono in Porta Genova o fra le vie di Brera.

L’eredità dell’evento Banksy a Milano lascia una sensazione di amarezza che guarda l’inclinazione del capoluogo lombardo a saltare sul carro del vincitore, sempre, come un misericordioso ambasciatore di libertà, ma solo finché quest’ultima non intacca l’immagine carismatica e un po’ snob del profilo milanese.

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TG DV


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