Con la pandemia in Cile aumentano le repressioni
A ottobre 2019 sono iniziate in Cile, su tutto il territorio, le prime proteste, con i cittadini scesi in piazza per protestare contro l’estrema disuguaglianza sociale, la privatizzazione e le enormi mancanze del sistema sanitario e dell’istruzione, nonché contro la privatizzazione delle acque e delle risorse naturali.
Tra le principali richieste dei manifestanti figurava l’organizzazione di un referendum costituzionale, voto che dovrebbe avere luogo a ottobre 2020. Tuttavia, in considerazione dello stato d’emergenza adottato dal governo a partire dal 19 marzo a causa della pandemia da COVID-19 e la conseguente quarantena, le proteste sono state bloccate.
In un primo momento l’imposizione della quarantena ha riguardato soltanto i quartieri più ricchi della capitale, ed è stata estesa a tutti solo ad aprile. All’inizio il ministro della sanità voleva evitare un lockdown totale e soltanto il 15 maggio, dopo la diffusione a macchia d’olio del virus nella capitale del paese, ha deciso di ricorrervi.
Nelle zone più povere di Santiago del Cile non ci si può più recare al lavoro da ormai quasi 2 mesi. Molti non hanno accesso alla rete per poter lavorare da casa e tanti non possiedono neanche un computer o una connessione internet. Non potendo uscire di casa le persone non possono procurarsi entrate per pagare l’affitto, i debiti e soprattutto per comprare da mangiare.
Gli abitanti hanno cominciato a protestare a causa delle scarse risorse alimentari disponibili, proteste a cui il governo ha risposto mandando per le strade l’esercito, potenziando le forze di polizia e spendendo milioni in armi e veicoli. Anche se ufficialmente si continua a sostenere che ci sia denaro disponibile a garantire i dispositivi di protezioni basilari negli ospedali, il personale sanitario denuncia invece la mancanza del necessario per proteggersi dal contagio. Già in passato il sistema sanitario del paese era collassato, ma la crisi non era mai stata così profonda come durante la pandemia da COVID-19.
Le forze di polizia aggrediscono chiunque scenda in strada, non soltanto coloro che non hanno il permesso di lasciare la propria abitazione. I senzatetto vengono allontanati con violenza dalla città. Tutti coloro che cercano di aiutarli vengono arrestati.
Inoltre, sulla base delle leggi per la sicurezza nazionale, sono state avviate delle indagini contro coloro che supportano le proteste di massa che proseguono da mesi. Il governo persegue anche chi cerca di sollevare il problema della fame. Si ha quindi la sensazione che la dittatura stia riacquistando forza e che si stia approfittando del “distanziamento sociale” per controllare la rivoluzione e le modifiche alla costituzione. La popolazione ritiene che il governo non si stia concentrando solo sul controllo del virus, ma che stia approfittando della situazione per bandire il referendum sull’emendamento costituzionale di ottobre e per liberarsi di parte della popolazione più povera.
L’approvvigionamento d’acqua e l’informazione sono stati interrotti per alcuni giorni e la velocità della connessione internet è stata notevolmente diminuita. Questo ovviamente succede nei quartieri dove vivono i ceti medi e quelli più poveri. Nei quartieri più ricchi la quarantena non ha causato molti problemi.
La disoccupazione è cresciuta molto e gli ospedali sono collassati a causa dell’alto numero di ricoveri. Il sistema sanitario in Cile è perlopiù privatizzato. Se non si ha il denaro necessario per pagare una terapia si viene rimandati a casa, in attesa della guarigione o della morte.
A sud, nelle comunità Mapuche che vivono soprattutto di agricoltura, la gente sta subendo una repressione ancora maggiore di prima da parte dei militari. Mentre in televisione si discute solo di COVID-19, quel che sembra è che il governo stia lasciando morire i poveri e gli indigeni che lottano per la loro dignità. C’è il sospetto che il governo stia mentendo riguardo al reale numero dei morti o che comunque abbia perso il conto.
Testo e foto di Ignacio Luengo S. Tradotto dallo spagnolo da Christina Kronberg e rivisto dalla redazione di Pressenza