“Memory of our Life”, due chiacchere con Pixel Pancho sulla nuova mostra
In occasione della seconda edizione di Street Alps, il festival di street art che si tiene ogni estate nella zona pedemontana piemontese (in provincia di Torino) abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Pixel Pancho, artista italiano di fama internazionale.
Ci racconti il tuo percorso artistico? Dove hai studiato e dove vivi?
Finito il liceo a 18 anni mi sono iscritto all’UPV Belle Arti di Valencia, dove ho conseguito la laurea in “Maestro del Color y en la Grafica de Arte, Scenografia y Arte Visivas”.
Di casa ancora non posso parlare, viaggio spesso in giro per il mondo, anche se quest’anno mi voglio dedicare maggiormente al lavoro in studio.
Sei conosciuto come uno dei migliori street artist a livello mondiale. In quali Stati hai dipinto? Qual è il luogo dove ti sei trovato più a tuo agio?
Ho viaggiato praticamente ovunque, posso dire di non aver ancora dipinto in Asia ed Africa, ma presto lavorerò anche lì.
Dove mi trovo più a mio agio è lontano dalle città e dal caos urbano, immerso totalmente nella natura; i migliori luoghi dove sono stato sono Pilbra Desert Western Australia, Nuova Caledonia e Catlins in New Zeland.
La tua tecnica è strepitosa, ma è altrettanto curioso lo studio dei tuoi soggetti. Da dove nasce la passione per i robot?
Il robot nella mia visione può essere considerato come umanizzato; ho iniziato a considerare l’umanizzazione dei robot nel momento in cui ho notato che il ferro, come la materia biologica, invecchia e scompare nel corso del tempo, arrugginendosi e sgretolandosi; ho quindi pensato che il robot fosse la maniera più efficacie per rappresentare le mie idee senza l’utilizzo fin troppo inflazionato della figura umana classica. Cerco di raccontare le stesse cose ma utilizzando soggetti diversi, metaforicamente simili. Credo che la comprensione parallela avvenga meglio di quella diretta e trovo il parallelismo tra uomo e robot molto efficace.
A marzo sei stato protagonista di un’esposizione a Londra dal titolo “Memory of Our Life”. Come è stato concepito questo show?
In “Memory of Our Life” riprendo il tema della famiglia che è un tema abbastanza centrale in tutte le culture. Quindi ho solo fatto riferimento a delle scene familiari comuni tramite il mio stile, per richiamare questi ideali e far riflettere attraverso i miei occhi chi si pone davanti al mio lavoro.
Se dovessi indicare il nome di due artisti per te fondamentali su chi cadrebbe la scelta?
Tra tutti penso che i due più significativi per me siano stati Sorolla e DeChirico: il primo per il suo uso magistrale del colore, con pochissimi tratti e tonalità riusciva a dipingere in maniera eccelsa i suoi soggetti; il secondo per i suoi colori, il suo modo di vedere il mondo e le sue prospettive.
Pixel Pancho è una continua sorpresa. Quali sono i programmi per quest’anno?
Lo vedrete presto.
Riccardo, Street Alps Team
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