Meloni sì, canapa no
La destra avrebbe potuto mostrare la sua maturità normando il settore della canapa, che potrebbe contribuire alla rinascita della nostra agricoltura, tanto cara – a parole – al governo, e invece ha scelto di continuare sulla strada della retorica e del pregiudizio, considerando come droga ciò che droga non è
L’accanimento contro la canapa è iniziato ancora prima che il governo si insediasse, con una proposta di legge che vedeva come primo firmatario Maurizio Gasparri. È una legge che avrebbe avuto come obiettivo quello di vietare la cannabis light, che è stata depositata in Senato il 13 ottobre 2022, nonostante il governo si sarebbe insediato ufficialmente il 22, con il giuramento della presidente del consiglio davanti a Sergio Mattarella.

AFFOSSARE LA CANAPA PER PRINCIPIO
È così che inizia una sequela infinita di attacchi e leggi liberticide con un unico e inspiegabile obiettivo: affossare la canapa, in tutti i suoi settori, senza considerare le leggi italiane ed europee, e nemmeno il fatto che la canapa, che è ormai una coltura strategica a livello internazionale declinata in diversi settori, potrebbe essere il volano per far rinascere il settore agricolo italiano, come hanno cercato di spiegare in questi mesi le più grandi associazioni agricole come Coldiretti, Confagricoltura, CIA agricoltori italiani e Copagri, affiancate da quelle di settore come Canapa Sativa Italia, Sardinia Cannabis, Federcanapa e Resilienza Italia onlus e dalla EIHA, l’associazione europea per la canapa industriale.
Non è servito a nulla. Perché il governo non ha nemmeno voluto ascoltare, e va avanti imperterrito animato da una furia proibizionista e anacronistica, che non risparmia nessuno, nemmeno la canapa industriale tanto cara al Duce che tanti esponenti di governo hanno cercato di riabilitare come “statista”. Ebbene, Mussolini, che è stato il primo a mettere fuori legge «la canapa da fumo» perché considerata una «droga da negri», è lo stesso che sulla canapa industriale puntava parecchio considerandola – a ragione – come imprescindibile per lo sviluppo agricolo e industriale.
DALLE PERQUISIZIONI ALLA “SENSIBILIZZAZIONE” DEI NEGOZIANTI
Le prime avvisaglie le avevamo avute con le prime proposte di legge, mai votate, per vietare la cannabis light. E la prima dimostrazione pratica della volontà del governo l’abbiamo avuta a Canapa mundi, la fiera della canapa di Roma, nel 2023. Mentre diversi ministri del governo si preparavano a fare la loro passerella al Vinitaly tra i flash dei fotografi, alla fiera della canapa abbiamo assistito alla militarizzazione di un evento culturale, con controlli continuativi per giorni, la presenza di tutte le categorie possibili di forze dell’ordine, l’arrivo negli orari in cui sono presenti più persone e la presenza anche dei cani antidroga all’esterno.
Il messaggio, chiaro, è che una droga psicotropa legale che uccide 17mila italiani ogni anno secondo l’Istituto Superiore di Sanità va magnificata per l’economia che ci gira intorno, mentre la droga psicotropa che vogliono che resti illegale, che non ha mai ucciso una persona nei millenni in cui è stata utilizzata e che potrebbe creare economie ben superiori a quelle dell’alcol, non va bene perché lo dicono loro. Punto.
Nemmeno un mese dopo, e siamo a marzo del 2023, durante un incontro sulla legalizzazione organizzato da Meglio Legale in un istituto in Sicilia, ha fatto irruzione la polizia che ha identificato i rappresentanti d’istituto. Come precisato dall’associazione l’appuntamento, volto a fare informazione sul tema della cannabis e della sua regolamentazione, era stato organizzato da tempo e approvato dalla preside dell’Istituto, Lidia Di Gangi, come momento di informazione per i ragazzi.
Gasparri, in un comunicato stampa ripreso e rilanciato dalle maggiori agenzie italiane, ha dichiarato che la presenza dell’associazione in un’assemblea avrebbe avuto una funzione di «propagandare l’uso delle droghe» e «minimizzare i pericoli delle droghe». Facendo della scuola «un luogo di diseducazione invece che una sede dove evidenziare i pericoli delle droghe». Meglio Legale, come risposta, l’ha denunciato per diffamazione.
Pochi giorni dopo arriva il capolavoro semantico del governo che, sostenendo di «sensibilizzare gli operatori commerciali», ha invece messo in moto una vera e propria operazione di repressione con perquisizioni continue ad attività completamente legali come i growshop e i canapa shop. In pratica, facendola passare come un’opera di sensibilizzazione, il ministero dell’Interno ordina «una ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite presenti sul territorio».
LA PRONUNCIA IGNORATA DEL TAR
Nel frattempo (febbraio 2023) c’è stata una pronuncia importante del Tar che ha annullato il decreto che avrebbe inserito la canapa tra le piante officinali limitandone l’uso a semi e fibra. È la prima sentenza che mette nero su bianco che non si possono limitare gli usi della canapa ad alcune parti per un generico principio precauzionale che va invece motivato con dati scientifici.
Il Tar però non si è limitato ad annullare il comma incriminato del decreto, ma ha espressamente citato sia una precedente sentenza del Consiglio di stato francese, che ha di fatto reso legale il commercio di CBD e cannabis light in Francia, sia la sentenza della Corte di Giustizia europea che sottolineava che i prodotti legali a base di CBD di uno stato membro devono poter circolare liberamente in tutta Europa.
Ma fa anche un passaggio in più parlando espressamente delle infiorescenze: «In estrema sintesi, il Conseil d’Etat, pronunciandosi sulla legittimità del provvedimento nazionale di divieto, sottolinea, anzitutto, che una siffatta misura restrittiva deve essere giustificata alla luce dell’obiettivo di sanità pubblica perseguito e risultare proporzionata ai rischi per la salute connessi alle sostanze vietate, osservando, in proposito, che i suddetti rischi dipendono dalle quantità di THC effettivamente ingerite a seconda dei prodotti consumati e dei modelli di consumo, così da concludere che, allo stato dei dati scientifici, il consumo delle foglie e dei fiori delle varietà di cannabis con un tenore di THC inferiore allo 0,3% non crea rischi per la salute pubblica tali da giustificare un divieto generale e assoluto della loro commercializzazione».
I ministeri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Salute hanno deciso di impugnare la sentenza presentando ricorso al Consiglio di Stato e l’udienza è fissata per il 2 ottobre 2025.
NUOVA PROPOSTA CONTRO LA CANNABIS LIGHT
A marzo 2023 il governo lancia la nuova proposta di legge per vietare la cannabis light, con due soli articoli. Il primo prevede una modifica alla legge 242 del 2016, la legge quadro per la canapa industriale, con l’aggiunta del comma 3-bis all’articolo 1 che prevederebbe che: «Le disposizioni di cui alla presente legge non si applicano all’importazione e alla commercializzazione delle infiorescenze della canapa per uso ricreativo».
La seconda modifica è all’articolo 4, al quale verrebbe aggiunto il comma 7-bis: «In caso di violazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 3-bis, si applicano le disposizioni del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309». Ma la proposta di legge non sarà votata e rimarrà nel cassetto.
Nello stesso periodo, durante un incontro presso l’Assemblea Regionale Siciliana Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia, ha sottolineato l’importanza – e l’urgenza – di legalizzare la cannabis in Italia. «Regolamentare la cannabis significa togliere alle mafie una fetta importante del mercato illegale degli stupefacenti». In quanto, come evidenziato dalla relazione annuale della Direzione centrale dei servizi antidroga, con ben 67 tonnellate, «la cannabis rimane lo stupefacente più sequestrato».
Non solo, perché secondo De Raho sarebbe un modo per «sottrarre la popolazione che ne fa uso al contatto diretto con le mafie», oltre che l’unico modo in cui lo Stato possa avere il controllo della situazione.
Alla discussione è intervenuto anche il professor Ferdinando Ofria, docente di politica economica all’Università di Messina e autore, insieme al professor Piero David, di uno studio che ha evidenziato come la legalizzazione della cannabis in Italia potrebbe aprire un mercato da 10 miliardi di euro l’anno. Il dottor Ofria ha affermato che «la legalizzazione è fondamentale per diversi motivi, tra cui un enorme risparmio di circa 540 milioni di euro per le spesi di magistratura e 230 milioni per le attività di ordine pubblico e sicurezza».
Per non farsi mancare niente, verso la fine del 2023 il governo lancia sulla Rai monopolizzata di partiti della coalizione uno spot che, più che contro la droga, è diretto contro la cannabis e infarcito di banalità e fake news. Si vede un ragazzo di 14/15 anni che, mentre rolla una canna, viene avvicinato da uno più piccolo che gli dice di non farlo, perché «poi è un attimo che passi ad altre droghe», tentando di avvalorare uno dei vecchi cavalli di battaglia del proibizionismo: quello della cannabis come droga di passaggio.
La letteratura scientifica ha da diversi anni smentito quella che ormai ha il valore di una credenza popolare non supportata da nessun dato, e cioè che usare la cannabis sia la porta per passare a droghe più pesanti. Un recente studio scientifico ha addirittura spiegato che, se volessimo ragionare in questi termini, la vera droga di passaggio sarebbe l’alcol.
I risultati hanno evidenziato che iniziare a consumare cannabis prima di alcol e tabacco era una possibilità «relativamente rara», infatti, solo il 9% delle persone che hanno fatto uso di cannabis ha riferito di aver iniziato prima con la cannabis che con alcol e tabacco. Molto più comune invece (circa il 21,8%) l’abitudine di iniziare ad assumere cannabis alla stessa età in cui sono stati provati per la prima volta alcol o tabacco.
La scoperta più rilevante però è che, secondo i ricercatori: «Coloro che hanno provato la cannabis prima dell’alcol e del tabacco sembravano avere meno probabilità di sviluppare problemi di abuso di sostanze rispetto a coloro che hanno provato la cannabis alla stessa età in cui hanno provato almeno un’altra sostanza».
DISTRUGGERE TUTTO IL SETTORE
Nel 2024 arriva il momento il cui il governo getta definitivamente la maschera, e fa capire dove voglia arrivare, mettendo in fila una serie di provvedimenti come la riesumazione del decreto che vuole trasformare il CBD in uno stupefacente (non lo è per l’OMS né per la Corte di giustizia europea che l’ha messo nero su bianco con una sentenza nel 2020), la riforma del Codice della strada che impedisce a 6 milioni di consumatori di cannabis e a tutti i pazienti che assumo farmaci stupefacenti di guidare, rischiando fino a 1 anno di carcere e 6mila euro di multa, e il capolavoro finale con l’emendamento al Ddl Sicurezza, che, in barba al diritto internazionale e alle filiere duramente avviate in questi anni, elimina di fatto il settore della canapa industriale sostenendo che il fiore di canapa, anche con livelli di THC sotto i limiti europei, è stupefacente.
A questo aggiungiamo che la manifestazione di interesse per trovare aziende provate che producessero cannabis medica affiancandosi al progetto fallimentare – e finanziato con milioni di euro – della produzione in regime di monopolio presso lo Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze, con il nuovo governo si è completamente arenata. Nel frattempo la Germania è diventata il mercato medico più grande d’Europa mentre il Portogallo, partito anni dopo di noi, sta diventando l’hub europeo per la produzione.
C’è stato però un momento in cui l’impostazione, proibizionista a priori, ha traballato. È l’estate del 2023 e il governo deposita un emendamento alla delega fiscale in Commissione Finanza che, oltre a «un regime autorizzativo da parte dell’Agenzia delle dogane per la commercializzazione» prevede il divieto di vendita online, il divieto di vendita ai minorenni, il divieto di pubblicità e la stessa tassazione delle sigarette. La cannabis light, con questa legge, diventerebbe monopolio di Stato. Una scelta che sicuramente non avrebbe fatto contento tutto il settore, ma che, dall’altra, avrebbe messo fine alla querelle infinita a cui assistiamo ancora oggi, con sequestri ad aziende e agricoltori, e i processi che nella stragrande maggioranza dei casi certificano che non c’è nulla di illegale nel produrre e commercializzare cannabis con livelli di THC sotto i limiti di legge.
In quel momento pensai che forse Giorgia Meloni, in un impeto che potesse andare oltre l’ideologia e che avesse come obiettivo il bene del Paese e il suo sviluppo agricolo, fosse riuscita a silenziare i proibizionisti ante litteram del suo governo, come il dominus Mantovano e lo sguaiato Gasparri, per permettere all’Italia di competere in un mercato strategico, nel quale avremmo pochi rivali. Così come negli Stati Uniti sono anche i Repubblicani, e non solo i Democratici, ad aver sposato la causa della legalizzazione della cannabis, pensavo che la premier, descritta da tutti come intelligente e capace, potesse optare per una scelta liberale – una volta tanto – invece che puntare sempre su populismo e consenso facile. Ebbene, mi sono dovuto ricredere immediatamente, visto che l’emendamento fu annullato poco dopo, ancora prima di essere discusso.