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Mecna: "In Laska c'è tutto quello che vivo" – l'intervista

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Napoli è la città del sole, ma per ospitare Mecna si è vestita del grigio più cupo. I casi della vita, a volte. La pioggia scrosciante accoglie una delle date più gremite tra gli instore che il rapper foggiano sta portando in giro per l’Italia per promuovere la sua ultima creatura. Un disco fortemente suo, in cui ai tanti producers si accompagna quasi esclusivamente la sua voce, e la carica emotiva e personale dei suoi testi. “Laska” è fuori da pochi giorni, e sebbene sia uno di quei dischi da assimilare dopo un po’ di tempo, è già stato accolto in maniera più che positiva. Ne abbiamo parlato col diretto interessato:

Sei partito da Foggia, hai abbracciato Roma per studio, e adesso lavori e canti a Milano, che continua ad essere un po’ la Mecca del rap italiano. Dovunque sei stato, c’è stato un approccio al rap differente. Quanto influenza il luogo dove vivi?

Ha influito principalmente quello che ascoltavo. A Foggia erano i primi approcci, quindi ascoltavo tanto rap italiano e robe come Eminem e Dr.Dre… le basi diciamo. A Roma, tramite Ghemon, ho scoperto il soul, e a Milano, per evoluzione personale, ascolto tanti altri generi. Certo, cambiando i luoghi dove vivi cambiano anche le persone e da lì ne vieni inevitabilmente influenzato.

Ma Milano dà realmente più opportunità di quante non ce ne siano in altri posti? Pare che chiunque parta dal sud, armato di talento, aspiri a Milano…

Io vivo a Milano per il mio lavoro da grafico, sono lì per quello. L’aspetto musicale è venuto dopo. È un ambiente favorevole perché puoi incontrare determinate persone, che non è detto che ti svoltino la vita, ma almeno hai più opportunità. E poi non è un posto grandissimo, gira e rigira i locali sono quelli…

Eppure per “Laska” te ne sei andato in Norvegia. Anche grazie a queste esperienze, c’è un tocco internazionale nel tuo disco. Qualcuno si chiedeva che responso avresti avuto se l’avessi fatto in inglese e non in Italia…

Lo prendo come uno stimolo per continuare a fare musica in questo senso. Io faccio rap qui e non andrei da nessun’altra parte, non lo farei mai in inglese. Qualcuno prima di me ha aperto le porte a questo sound e a questo tipo di rap in Italia, quindi mi auguro che anche “Laska” possa essere recepito come un punto di partenza per accettare anche un rap del genere.

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Che persegue coerentemente il percorso avviato con “Disco Inverno”, ma ha qualche differenza sostanziale.

Appena ho iniziato i primi due-tre pezzi, mi sono detto di voler fare un disco come dicevo io e solo io, dove avrei parlato solo delle cose che volevo – infatti le critiche battono soprattutto su quello, sul fatto di parlare solo “di due-tre cose”… ma sono quelle che vivo sulla mia pelle! Con “Disco Inverno” non è capitato, ho cercato più il confronto.

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E più collaborazioni. In “Laska” troviamo solo Johnny Marsiglia, ad esempio. Però un disco che sia tuo a tutti gli effetti, pare abbia tutto un altro sapore…

Questo è anche il gioco di quello che facciamo, perché lungo il percorso ti crei tante connessioni, ti fai tanti amici. Disco Inverno era il mio primo disco e avevo voglia di coinvolgere le tante persone che mi stavano vicino: ho fatto quello che volevo allora, adesso mi sono dedicato ad esprimere quello che volevo io e io soltanto. Mi sono allontanato dal mio gruppo degli inizi soprattutto perché col tempo ho appurato di preferire la veste solista.

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Con “Laska” ti sei svincolato da alcuni cliché dell’hip hop, in primis con le collaborazioni ridotte al minimo, poi con un immaginario ed un’attitudine abbastanza indipendenti da quel mondo. Il rap si sta slegando sempre più dall’hip hop, inizia a fare storia a sé?

La musica si è evoluta talmente tanto che mi sembra stupido non contaminare, non assorbire altri generi. Laska è anzitutto il frutto di quello che ascolto, che francamente trovo anche difficile classificare. Di sicuro, ultimamente c’è molto più rap che hip hop, e anche io faccio molto più rap che hip hop. L’ho fatto talmente mio, che ormai è il modo in cui mi esprimo.

Mettendoti a nudo, e non facendo mistero di essere stato lasciato, ad esempio. Non è molto usuale in un genere comunque maschilista…

Io credo di averlo sempre fatto, dai tempi di “A modo mio” che è un brano di sei anni fa e che in questi instore è uno di quelli su cui mi fanno più domande. Io ho sempre scritto in questa maniera. Poi naturalmente ti viene da sperimentare e da fare altre cose, ma la componente-hip hop rimane sempre nei testi, ad esempio “Non dovrei essere qui” è il mio “pezzo di battaglia” per quanto voglia esprimere altre cose.

Ti sentivi pronto per quel tipo di ritornelli, un misto di cantato e autotune?

Credo di non aver abusato dell’autotune, innanzitutto. Mi sento molto tranquillo, perché col tempo ho ascoltato molti artisti che cantano. Mi è venuto naturale, e soprattutto l’ho utilizzato non come un aiuto vocale, ma come un mezzo. Come scegliere un synth al posto di un pianoforte, ad esempio.

Non sei un artista proprio attivissimo sui social network. Perché?

Perché cerco di usarli in maniera intelligente. Io faccio musica e quello che propongo è solo la mia musica. Non mi interessa farmi il selfie in montagna (perché al mare non ci vado!). Il mio Facebook si è fermato al 31 luglio, prima di Laska, proprio perché non avevo più nulla da dire in merito alla mia musica, e mi sembrava bello tornare a scriverci quando avevo delle cose in mano da proporre.

Fermo restando che i social contribuiscono maledettamente a creare una visione manichea: o sei forte o fai schifo, senza vie di mezzo. Ad esempio, un coro unanime (non proprio positivo) c’è stato sullo spot cui hai dato la voce…

Strano, non me n’ero accorto! (risate)

Ma è un progetto a lungo termine? Ne trarrai vantaggi artistici?

Non credo. È successo, più che altro. Ti dirò: per me un artista è tale a 360 gradi. Nel momento in cui l’artista di nicchia viene visto in tv, in una pubblicità in heavy rotation, viene immediatamente visto come un venduto. Bisogna essere più aperti e capire le scelte che uno fa, anche in ambito musicale.

Conclusi gli instore, sarai in tour. Ci sarà una band ad accompagnarti?

La prima tranche del tour sarà tra marzo e aprile. Non abbiamo studiato ancora bene la cosa, ma non sarà in formazione solita rapper-dj. Non credo con una band vera e propria, ma di sicuro con un’altra persona che possa arricchire il suono e la riuscita del live.

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Nicola Pirozzi



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