Mecna – Disco Inverno (recensione)
Una mia cara amica qualche giorno fa mi chiedeva come potessi amare l’hip hop: una cultura ruvida, nella quale non riusciva ad identificarsi, dalla quale non si sentiva rappresentata e che per questo non riusciva a percepire come emozionante e spontanea.
Avrei dovuto spiegarle che l’hip hop è spontaneità, è realness, attitudine. L’hip hop è vero (non sempre, ok), l’hip hop vive e non solo emoziona ma brucia, quando è fatto bene, quando arriva dal cuore, quando è viscerale. Non l’ho fatto, però; questi discorsi mi annoiano.
Il ventaglio di possibilità per noi rappusi coi baggy e il new era è sempre più ampio, quando dobbiamo scegliere un disco. Possiamo scegliere un rap più crudo; uno più tecnico/sperimentale; decidere di spaccarci i timpani con dei bei beat epici e potenti; ascoltare un rap più elettronico, magari su un bel beat dubstep, oppure abbandonarci al soul con le cuffie, ad occhi chiusi. E questo è bellissimo.
Se si parla di soul, in Italia c’è sicuramente un collettivo che è avanti di brutto. Un gruppo di persone che si sono trovate e unite attorno a un’idea, ed è la Blue Nox Academy: Ghemon, Hyst, Kiave, Macro Marco, Franco Negrè, Rafe, Dj Impro e il più giovane, Mecna. Qualità generalmente garantita.
Quando avevo recensito l’EP di Mecna “Le valigie per restare” qualcuno mi prese in giro per i toni entusiastici che avevo utilizzato; per me quell’EP rappresentava, assieme ad altri dischi usciti negli anni scorsi in questo paese così brutto e spento uno spiraglio di luce e di ottimismo verso un futuro più artisticamente consapevole della musica che amo, persa per troppi anni dietro a sé stessa, alle proprie seghe mentali e al modo migliore per promuoversi (con risultati non esattamente eccezionali).
Io lo sapevo che il disco di Mecna sarebbe stato una figata e che lo avrei ascoltato un sacco. Lo sapevo anche del disco di Ghemon, di quello di Bassi e speravo in Stokka & Buddy, che non mi hanno deluso. Il livello delle nostre produzioni inizia ad alzarsi e mentre ascoltavo “Disco Inverno” immaginavo uno come Blu a rappare sopra alcuni dei beat del disco, convinto che non avrebbe rimpianto Exile.
Uscito per Macrobeats, “Disco Inverno” è stato concepito per accompagnare le giornate uggiose, quelle in cui sei un po’ di malumore, eppure è un lavoro pieno di pezzi caldi (ascoltare “Due Passi” per credere), che fa star bene, pieno di vita e a tratti emozionante. Forse con qualche canzone di troppo.
Anticipato dai video di “Senza Paracadute” e “Kryptonite”, uno dei pochi video hip hop in cui il protagonista compare soltanto nelle inquadrature finali, lasciando spazio alle immagini – a mio avviso già qualcosa di significativo – e con le collaborazioni di qualche amico che spacca, Mecna continua a raccontarci la quotidianità e la bellezza delle piccole cose.
Il disco attraversa mood diversi, come quello soul di “Non Sono Qui”, con un meraviglioso ritornello di Pat Cosmo dei Casino Royale, quello più critico di pezzi come “Bravo” (“io ai tuoi demoni sfuggo e prendo le redini”, sintetizza bene lo spirito del nuovo corso del rap in Italia) o la nostalgia della meravigliosa dedica a suo padre di “Grazie Mille”. Andrea Nardinocchi continua a confermarsi un bravissimo interprete, che trasmette ai pezzi vene particolarissime (che gioia sentire cantare un ritornello che recita “mi guardi male, ma non mi puoi toccare neanche con un dito, toccami e ti ammazzo” in maniera così soave) e ad eccezione di Mista, sottotono, tutti gli artisti aggiungono con la propria presenza valore al disco.
Quest’anno siamo stati fortunati; i nostri artisti preferiti vendono su iTunes e sono in cima alle classifiche di gradimento, anche quelle di MTV. Il livello è alto, è la scelta è tanta. Se qualche anno fa mi avessero detto che un giorno gli artisti avrebbero quantomeno iniziato a percorrere questa che sembra essere la strada giusta per portare alle luci della ribalta il risultato della loro passione senza snaturarsi e in modo così tanto consapevole, avrei fatto un po’ di fatica a crederci. Il rap lo fanno in tanti, anzi, in troppi, si sa. E’come il calcio, che lo giocano tutti perché basta fare una porta con due sassi, mentre se vuoi giocare a basket ti serve un canestro e una palla che quantomeno rimbalzi regolarmente. E tantissimi lo fanno da anni, senza raggiungere ancora i risultati sognati, mettendoci tantissima voglia e tantissimo impegno. Non si può però non constatare con entusiasmo che per la prima volta il rap in Italia sia riuscito a seguire la naturale evoluzione del mondo della musica. Un mondo che è cambiato radicalmente, modificando forse per sempre il modo di fruire della musica stessa. Io che delle seghe mentali di cui si parlava prima mi sono stancato in fretta, sono felice di questa cosa, anche se sarà poco. Sono felice di vedere che il rapper di cui avevo recensito l’EP ai tempi di Moodmagazine abbia fatto un disco bello come questo e che stia avendo fortuna, come lo sono stato per tutti gli altri dischi belli di quest’anno.
Adesso che ho ampio materiale, sono pronto a far cambiare idea a quella mia amica.
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Robert Pagano