Marketing politico all’origine della Fini-Giovanardi
Alla fine di ottobre 2001, il vice-presidente del Consiglio Gianfranco Fini, leader di Alleanza Nazionale, lancia la nuova linea sulla droga. Lo fa dalla tribuna di “Rainbow”, il convegno annuale della comunità di San Patrignano. Porta con sé un pacchetto di ministri (Maroni, Moratti, Sirchia).
Niente più distinzioni fra droghe leggere e pesanti. La droga è un male. Tutta la droga. Tutte le droghe. Non c’è differenza, la droga uccide. Un anno e mezzo più tardi, aprile 2003, intervenendo al Congresso di Vienna dell’agenzia antistupefacenti dell’ONU, Fini dichiara che è in preparazione una nuova legge che verrà presto presentata al Consiglio dei ministri. Il “Corriere della Sera” spara la notizia in prima pagina (18.04.03). Due concetti di fondo. Bisogna penalizzare allo stesso modo eroina e marijuana. Bisogna fissare una quantità sopra la quale scatti la galera per i consumatori.
Oggi (2003, la Fini-Giovanardi entra in vigore nel 2006, ndr), grazie al referendum del ’93, chi detiene droga per uso proprio non può essere sottoposto a processo penale. La consultazione del ’93 ha abrogato la parte della legge Jervolino-Vassalli che prevedeva il carcere per tutti i consumatori trovati in possesso di una quantità di sostanza superiore alla “dose media giornaliera”, stabilita dal Ministero della Sanità. Vale a dire, mezzo grammo per la cannabis. Dato che la grande maggioranza acquista almeno un paio di grammi, quasi tutti finivano in prigione. Per un anno e mezzo, Fini ha fatto campagna senza precisare il punto di arrivo. Ora scopre la carta principale. Non sappiamo perché il leader di An abbia aspettato tutto questo tempo. In parte forse per battere una insidiosissima obiezione. Il referendum è espressione di una volontà popolare forte su un singolo tema. Quello del ’93 è stato molto preciso sul punto: gli italiani hanno detto no alla punibilità dei consumatori.
Ora, nella primavera del 2003, Fini può sostenere che ormai sono passati dieci anni e che in tanto tempo l’opinione pubblica cambia. Così, lavorando ai fianchi l’intoccabilità del referendum, dichiara che bisogna anche considerare che il sì vinse per un’incollatura. Fini è un politico professionista e sa benissimo che non è così: l’abrogazione vinse con il 55,3% contro il 44,7, quasi undici punti di distacco. Altro che un’incollatura. Al presidente di An sembra che la situazione nei grandi media sia abbastanza rosea: un’incollatura è un’espressione del ciclismo e dell’ippica, dell’atletica, vuol dire un fotofinish, una differenza di un centimetro, di un pezzo di muso (del cavallo). Dieci-undici punti invece sono milioni di voti, poco meno di tutto l’elettorato di Alleanza Nazionale. Però nessuno lo incalza su questo punto.
D’altra parte, da un anno e mezzo ad ora, dal convegno a S.Patrignano, Fini si è “abituato male”. Nessun giornale lo ha preso seriamente di mira su questa storia. Anche se è una faccenda che grida vendetta al cielo: riproporre la galera per i consumatori di marijuana nel momento in cui i fumatori di tabacco cominciano a protestare e a parlare di persecuzione e di proibizionismo per alcune limitazioni (fumo in treno e nei ristoranti, ma nessuno nemmeno propone di vietare la vendita dai tabaccai o di prospettare la prigione per gli appassionati di Ms o Marlboro), è una posizione di tipo cubano o thailandese o fondamentalista islamica.
Malgrado questo nocciolo filosofico inquietante, nessun grande editorialista interviene. Eppure l’evidenza del punto centrale è lancinante. Se si dedicano pagine di dibattito e ore di talk-show e prima pagina del quotidiano “Il Manifesto” e centinaia di lettere a Paolo Mieli nella rubrica del “Corriere della Sera” sulla questione di fondo, e cioè quanto sia rispettoso dei principi liberali, della libertà personale, imporre limitazioni ai fumatori e far partire una sorta di campagna sanitario-terroristica culturalmente discriminatoria verso questa categoria di persone, che cosa si dovrebbe dire di un leader ex-ammiratore di Mussolini, cioè del sistema che ha tolto le libertà politiche e civili, e che però ora ha fondato un nuovo partito “liberale”, che propone addirittura la galera per quattro milioni di liberi consumatori di droghe leggere? Detta brutalmente, dovrebbe scoppiare un puttanaio. Dove sono i Galli Della Loggia, i Panebianco, gli Ostellino sempre pronti (e anche giustamente) a fustigare i convertiti (di destra e, più spesso, di sinistra) al liberalismo e ai diritti civili quando ne combinano una delle loro? Solo dopo un anno e mezzo, quando da Vienna Fini scopre ancora un po’ di più le carte, c’è qualche avvisaglia. Le agenzie fanno il loro mestiere, registrando pareri e dichiarazioni di esperti, medici, operatori. E una serie di piccoli giornali non allineati (e non di sinistra) ci fanno il titolo. […] Torniamo al nocciolo della proposta Fini. La dose oltre cui scatta il carcere. Se alla fine viene fissata una quantità “tollerata” abbastanza alta, simile a quella stabilita nello Stato di New York e in altri dodici Stati Usa, e cioè 28 grammi (un’oncia), o a quella prevista dalla nuova legge canadese (15 grammi), non ci sarebbe un cambiamento radicale nella situazione e nel mercato. I milioni di consumatori si limiterebbero ad acquisti di quelle dimensioni. Ma se si fissasse una quantità “bassa”, si andrebbe a una vera e propria catastrofe. Quasi tutti i consumatori diverrebbero automaticamente arrestabili e processabili.
Ora, una buona parte dei fermi per spinelli (centinaia di migliaia negli ultimi anni) sono stati operati da una parte zelante di polizia e carabinieri che decide autonomamente, invece di dedicarsi a indagini serie su altri mille reati in corso, di andare a un concerto o in una piazzetta o nei pressi di una discoteca: insomma, in situazioni dove anche i sassi sanno che si fuma. Non è un’indagine: si va a colpo sicuro: è matematico che alla fine di qualche sommaria perquisizione, o anche spontaneamente, salti fuori un grammo di fumo. Questo lavoro potrebbe essere fatto a tempo pieno: cioè a dire polizia e carabinieri potrebbero in continuazione dedicarsi a questo e avere questi risultati. Non va così perché la parte più avveduta e professionale delle forze dell’ordine non investe il proprio tempo in qualcosa che sa benissimo essere totalmente inutile.
Domani, con la nuova legge, ci sarebbe una sorta di costrizione: il grammo o i due grammi diventano un vero e proprio reato penale, dunque è la legge che impone di impedire il misfatto. Si metterebbe in moto una macchina gigantesca e mostruosa. In ogni palazzo, in ogni appartamento, c’è qualcuno che fuma. Se non fuma la liceale, fuma il papà o la nonna. Con le norme attuali su droga e perquisizioni che risentono del clima anni Settanta per le leggi di emergenza gli agenti potrebbero irrompere ovunque e buttare all’aria case e uffici. Frugare nella stanzetta del bambino e nei cassetti del babbo. Ogni volta, una quantità ridicola di marijuana farebbe portare tutti in questura o in caserma. Scatterebbero interrogatori, arresti, processi. I parenti e gli amici potrebbero essere incriminati come testimoni reticenti o per favoreggiamento. Qualcuno perderà le staffe e verrà incriminato per oltraggio a pubblico ufficiale. E naturalmente, durante le centinaia di migliaia di perquisizioni potrebbe saltar fuori altro, un’irregolarità fiscale, la detenzione non denunciata di un vecchio fucile da caccia, l’sms di un amante. Tutto a verbale. Il meccanismo micidiale scatenato da una legge-mostro sarebbe oltre un certo punto incontrollabile anche da parte dei vertici delle forze dell’ordine e soprattutto da parte dello stesso governo, che, dopo aver fatto approvare in pompa magna la nuova normativa, non potrebbe perdere la faccia invitando polizia e carabinieri ad andarci piano nell’applicarla.
Tratto da “La Marijuana fa bene Fini fa male” di Guido Blumir, Stampa Alternativa