La favola di Draghi verde
La svolta ambientalista del governo di Mario Draghi non esiste. Siamo dinanzi all’ennesimo camuffamento del sistema che cerca di sopravvivere, ritardando il cambiamento di cui abbiamo bisogno. I fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non serviranno a finanziare la svolta green. I 209 miliardi di fondi del NextGenerationEu (Ngeu) non saranno investiti su un modello economico che punti a promuovere equità sociale e sostenibilità ecologica. Istituire un ministero per la Transizione ecologica, non è da solo garanzia del cambiamento, anzi. Sotto il Green new Deal spuntano la lobby del fossile e delle armi, a cui saranno destinati fondi per “rinnovare” la capacità e i sistemi a disposizione.
Dal governo Draghi, che si è definito ambientalista, nessun accenno alla relazione tra conflitti ecologici distributivi e aumento delle disuguaglianze sociali, al nesso tra perdita di biodiversità, insicurezza sanitaria, collasso climatico e diffusione di nuove patologie come il Covid-19. Nemmeno una parola sull’urgenza di ridurre i consumi energetici, sull’importanza dell’eco-sufficienza e dell’utilizzo di materiali biogeni, sulla necessità di difendere i nostri habitat e rigenerare gli spazi urbani. Niente per investimenti su manutenzione e dissesto idrogeologico. Nessuna consapevolezza sul legame tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro. Insomma, tutto ciò di cui si discute da 50 anni tra economisti ecologici, scienziati, premi Nobel, movimenti per la giustizia ambientale e sociale, agenzie delle Nazioni unite non rientra tra gli obiettivi del governo.
Anche la modalità con cui il governo porta avanti questa gigantesca operazione di greenwashing (ambientalismo di facciata) preoccupa: nessuna partecipazione e inclusione di associazioni, movimenti e cittadini nella co-programmazione e co-progettazione sui progetti del Pnrr, eccezion fatta per le lobby del fossile. Anche quest’anno infatti soldi pubblici, per un ammontare di 20 miliardi, serviranno a finanziare sussidi ambientalmente dannosi.
Roberto Cingolani, ministro della Transizione, ha detto di puntare per la transizione ecologica su due tecnologie: il sequestro di carbonio (carbon capture storage) e la fusione nucleare. La prima tecnologia è quanto di più lontano ci sia dalla riconversione ecologica e serve solo a garantire l’aumento della produzione dell’idrogeno blu, bloccando così gli investimenti sulle rinnovabili. La fusione nucleare viene inseguita da mezzo secolo per giustificare la possibilità della crescita economica infinita, ritardando i cambiamenti strutturali necessari. Una fede cieca nella tecnica che ignora i limiti del pianeta e le ragioni della crisi.
Non basta più dire “facciamo quello che si può”. Le condizioni sociali, ambientali e culturali del Paese sono in costante peggioramento da troppo tempo. È necessario e urgente fare molto di più.
E se la politica non è in grado di difendere e battersi per questi fondamentali diritti, abbiamo il diritto e la responsabilità non solo di opporci, ma di costruire l’alternativa.
a cura di Giuseppe De Marzo
Attivista ambientalista, responsabile delle politiche sociali di Libera e coordinatore della Rete dei numeri pari