Marco Galdo, il maestro italiano del Dotwork
Di varie forme, colori e dimensioni i tatuaggi sono ormai entrati nell’immaginario collettivo senza più quella valenza di appartenenza sociale che avevano prima. Queste ammirevoli decorazioni sottopelle sono documentate già 12mila anni prima della nascita di Cristo. Romani, egiziani e altre antiche popolazioni hanno usufruito dei tatuaggi con scopi differenti, in base appunto alla propria cultura, così come il posto nel corpo e quello sulla linea del tempo.
Nel tempo anche le tecniche di tatuaggio si sono modificate ed evolute passando dalle classiche bacchette alle ormai conosciute macchinette elettriche, relegando la prima ad una nicchia di tatuatori orientali poiché tradizione di queste culture. Nel panorama italiano vari sono i tatuatori che si sono fatti strada con stili e tecniche individuali. Uno dei famosi tatuatori italiani, conosciuto anche per aver tatuato molti rapper, è Marco Galdo, titolare dello studio Trafficanti D’arte (MI). Già da adolescente appassionato di tattoo inizia ad avvicinarsi a quest’arte con metodi rudimentali per scoprire una passione che lo porterà a sperimentare in lungo e in largo per il mondo e a diventare uno dei pionieri italiani del Dotwork, una sorta di puntinismo del tattoo, realizzando dei veri e propri capolavori. Abbiamo avuto l’onore di parlare con lui su questa antica arte e sulle origini del dotwork.
Innanzitutto raccontaci come ti sei avvicinato a quest’arte?
È stato semplicemente un colpo di fulmine! Vidi su mio cugino, ormai più di 30 anni fa, un tattoo e ne rimasi impressionato. Avevo circa 12 o 13 anni, quando durante una domenica insieme ai miei parenti lui arrivo e si tolse la maglietta, mostrando un tribale vecchio stile che gli copriva, o per meglio dire gli vestiva, braccio, petto e scapola. Wow dissi! Mi incuriosì a tal punto che alcuni anni dopo, appena ne ebbi la possibilità, in un pomeriggio estivo dopo la scuola decisi di prendere aghi e china, e mi feci fare il mio primo tatuaggio sulla mano. Avevo 15 anni, passarono ancora 3 o 4 anni prima di riuscire finalmente a comprare la mia prima macchinetta e tutta l’attrezzatura necessaria e iniziare così a tatuare. Fantastico!
Qual è stato il primo tattoo che hai fatto? Come lo giudicheresti adesso, a distanza di anni?
Inizialmente con il materiale e l’attrezzatura presa in prestito da una mia cara amica riempii un vecchio tribale già tracciato sulla schiena di un mio amico, ma se proprio devo ripensare al mio primissimo tatuaggio è certamente quello che feci ad una cara amica su di un polpaccio e che tutt’oggi vedo. Un tribale piccolo, di non più di 5×3 cm, ma ci impiegai un sacco di tempo per realizzare una cosa così semplice. Se ci ripenso oggi forse lo riuscirei a fare in 10 minuti, ma ai tempi ricordo che tra disegno e realizzazione vera e propria del tattoo ci volle un pomeriggio intero. Venne comunque un bel tatuaggio, anche se con il tempo insieme decidemmo di ampliarlo a tutto il polpaccio.
Sei uno dei pionieri del dotwork, come sei riuscito ad arrivare a questo livello, creando appunto qualcosa di totalmente nuovo, e dopo quanto tempo?
Da lì passò comunque molto tempo prima di specializzarmi in un solo stile. Ho provato di tutto per diversi anni, ero immerso in una continua ricerca di qualcosa che ogni giorno mi appassionasse maggiormente. Iniziai allora ad elaborare lo stile tribale, era sempre stato un genere che rapiva la mia attenzione, forse proprio da quando vidi mio cugino. Dopo diversi viaggi in Asia iniziai ad aggiungere all’interno di questo genere alcune iconografie appartenenti alla cultura tibetana e tailandese, forse con l’intento di proporre qualcosa di unico. Uno stile che fosse mio. Come già detto passavo molto tempo a cercare ispirazioni e scovare novità da proporre.
Vidi solo allora i lavori di un tatuatore inglese, Xed Le Head, che ormai da alcuni anni utilizzava nei suoi tatuaggi la tecnica dotwork con texture e l’uso di pattern, e credo che questo fu un altro momento molto significativo della mia strada. Provai e riprovai di continuo ad esercitarmi ma senza sapere bene come fare o cosa fare. Dentro di me sentivo essersi aperto un mondo, quello della geometria moderna. Giravo e rigiravo quei pochi disegni che avevo, li elaboravo, li modificavo e ne preparavo di nuovi in continuazione. Senza computer o esempi tutto era più lento, ma in parte tutto dava più soddisfazione. Ero dentro tutto quello che preparavo e ogni volta che tatuavo cercavo di migliorarmi tecnicamente, cambiando aghi, usando i grigi, era un continuo studio e una ricerca ossessiva della perfezione. Altri tatuatori non capivano la mia ossessione e nemmeno il mio iniziare a rifiutare lavori che non si avvicinavano o che non mi davano la possibilità di sperimentare questo stile.
A tal punto da mettermi in allerta sostenendo che avrei perso tutto, perché il dotwork non sarebbe piaciuto a nessuno e io mi sarei ritrovato senza lavoro e senza clienti. Non mi arresi perché volevo trovare la mia strada, avrei anche accettato di continuare la mia ricerca su carta o su tela se la gente non mi avesse più dato la sua pelle, non era più un fatto economico era una passione che non avrei abbandonato per nulla al mondo. E così, oltre ad aver continuato a fare ogni giorno quello che più mi piace tatuando in tutto il mondo con un seguito rispettabile, mi sono anche preso qualche rivincita su tutti quelli che han sempre cercato di sminuire il mio lavoro e le mie idee. Oggi infatti il tribale moderno e la tecnica dotwork vengono eseguiti in tutto il mondo, alla pari di stili molto più vecchi e conosciuti.
Ci sono altri tatuatori abbastanza bravi in Italia che sono specializzati nello stile del dotwork? Sono tutte persone che hanno preso spunto dai tuoi lavori o c’è qualcuno che insieme a te è stato pioniere di quest’arte?
Diciamo che forse posso essere definito come il primo artista in in Italia a tagliare con il passato e dedicarmi unicamente a questo stile. Fu proprio questa decisione, ai tempi così radicale, di ricominciare dall’inizio con uno stile sconosciuto, sia da me che dal panorama del tatuaggio italiano, che mi diede la possibilità di apprendere più rapidamente la tecnica dotwork e i segreti della sua composizione tramite anche lo studio dei lavori di altri grandi artisti.
E così, come in passato successe a me vedendo i lavori di Xed, penso che la pubblicazione dei miei lavori abbia appassionato molti altri tatuatori che a loro volta hanno studiato e rivisitato questo genere trasformandolo nella loro visione.
In questi oltre 20 anni di carriera qual è stato il cambiamento più grosso nel mondo dei tattoo?
Sicuramente l’avvento di internet. Questo ha portato sicuramente beneficio artistico ma allo stesso tempo ha commercializzato il nostro mondo.
Ci sono dei personaggi, tatuatori e non, che ti hanno influenzato particolarmente nella tua arte?
Certo, come detto Xed è stato l’artefice della mia passione per questo determinato stile, dopo di lui molti altri artisti, specialmente negli ultimi anni con le loro evoluzioni mi hanno influenzato e spinto verso sperimentazioni in passato impensate.
M. C. Escher è stato ed è tutt’ora fonte per me di grande ispirazione, ancora oggi fatico a capire come sia stato in grado d’arrivare a certe idee già tanti anni fa, incredibile. Poi in realtà le ispirazioni sono tutte intorni a noi, basta guardare le cose che costituiscono il mondo con un occhio diverso per avere visioni di nuovi progetti.
Tempo fa in un’intervista hai affermato che questo lavoro è a rischio inflazione a causa dei nuovi artisti che subentrano nel mondo dei tattoo senza avere le qualità necessarie, come vivi questa situazione? E come potrebbe migliorare secondo te il panorama?
Oramai penso purtroppo che ci sia poco da fare. Internet e la televisione hanno commercializzato e globalizzato tutto questo mondo e quest’arte, trasformandola oramai in uno status symbol aperto a tutti e permesso ovunque; ormai tatuare è un po’ come cucinare con la differenza che in cucina puoi cambiare menù ma un brutto tatuaggio lo avrai per tutta la vita.
Solo la ricerca da parte dei clienti di bravi tatuatori e studi seri può aiutare ad eliminare chi di quest’arte ne sta facendo solo un business.
Un bravo tatuatore è colui che è continuamente alla ricerca del nuovo, confermandosi così un’artista completo, o secondo te non è un requisito necessario?
Secondo me un artista deve essere in continua evoluzione, con i suoi tempi, ma mai e poi mai fermarsi pensando di aver raggiunto un traguardo. Non è un viaggio con un’andata ed un ritorno, è solo e semplicemente andata.
Questo è quello che diversifica i tatuatori da “cassetto” senza etica e passione tranne che quella di monetizzare il più possibile dai veri artisti che regalano sempre nuovi spunti ed idee.
Quali sono le qualità che deve avere un bravo tatuatore?
Passione, tecnica, conoscenza del corpo e delle problematiche relative alla pelle e alle posizioni dove si desidera tatuare, etica e perseveranza. Ma soprattutto creatività individuale.
Nel tuo studio, Trafficanti d’arte, ospiti molti tatuatori ed in particolare tuoi amici… È per motivi di fiducia?
Per motivi di energia collettiva: se si lavora con persone stimate tutto è molto più semplice e gratificante. Mi piace non dover parlare esclusivamente di tatuaggi e con gli amici con cui si sono condivisi viaggi ed esperienze oltre ai tattoo è tutto più completo. Chiaramente è sottointeso che personalmente ritengo tutti i ragazzi che lavorano con me e che invito ai Trafficanti bravissimi tatuatori e grandi artisti, che hanno dato e penso che possano ancora dare tanto a noi dello studio e a tutto il panorama artistico del tatuaggio.
In quali casi e per quali motivi rifiuti dei lavori, se lo fai?
Semplicemente se con un cliente non c’è punto d’incontro, ovvero un’elasticità tale da arrivare con le sue richieste e la mia esperienza a poter fare un lavoro all’altezza della situazione.
Ci sono dei tatuaggi particolari che ricordi per la posizione o per il disegno?
Ho tatuato di tutto e in qualunque parte del corpo e non ricordo dei tatuaggi in particolare ma ricordo alcune persone che li portano addosso. Con molti clienti si instaura poi un vero e proprio rapporto di amicizia, che va oltre il tattoo.
Creo ogni nuovo lavoro con la stessa passione, li ricordo tutti e nessuno.
C’è un tatuaggio che vorresti fare o un personaggio che vorresti tatuare in particolare?
Ho tatuato mio padre ormai tre volte, lui che dopo essermi tatuato la mano a 15 anni diciamo non l’aveva presa molto bene e in quel momento non vedeva in me un futuro e una carriera da tatuatore. Ora invece di me è molto orgoglioso e questo mi basta per dire che non ci potrà mai essere nessuna persona più importante per me da tatuare.
Che progetti hai per il futuro?
Scappare da questa società soffocante e passare più tempo nella natura a progettare nuovi disegni.
Vivere con Nancy, la mia compagna, e Thai nostra figlia. Il resto è tutto di passaggio.
Lascia un messaggio ai nostri lettori…
Scegliete bene il vostro tatuatore, non influenzatelo troppo ma lasciatelo esprimere. Fidatevi di lui se vi ha appassionato con i suoi lavori, perché vi farà andare in giro orgogliosi di quello che alla fine deciderete di fare sulla vostra pelle.