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Malana Cream: storia di un hashish globalizzato

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In questo scritto voglio raccontarvi le mie impressioni sull’ultimo viaggio che ho fatto. Non vi annoierò raccontandovi tutto ciò che i miei sensi e la mia psiche hanno provato durante l’itinerario, che ha coperto circa 3000 chilometri partendo da Nuova Delhi in direzione nord, ma focalizzerò vuoi per passione, vuoi per la tematica sul villaggio di Malana e sul suo prodotto da esportazione più famoso: la charas (la famosa Malana cream).

DESCRIZIONE GEOGRAFICA

Il solitario e piccolo villaggio di Malana si trova nello stato dell’Himachal Pradesh, sul lato nord della Valle di Parvati. Dai suoi 3000 metri di altitudine domina la valle in cui scorre il fiume dal quale prende il nome. Il villaggio può essere raggiunto da tre direzioni diverse. I percorsi più “difficoltosi” prevedono il superamento di due passi (dipende dal lato): il Rashol la (la significa passo) dalla Valle del Parvati o il Chandrakani la dal lato di Naggar. La via più “semplice” prevede il passaggio dal villaggio di Jari e successivamente da quello più tranquillo di Chowki. Oggi c’è una strada che collega l’inizio del sentiero per Malana al villaggio di Jari. Prima dell’inizio del sentiero i visitatori devono registrarsi presso l’ufficio di controllo della diga di Malana. Può capitare di doversi registrare anche all’ingresso di Chowki.

DESCRIZIONE STORICO, CULTURALE E SOCIALE

L’unicità che caratterizza questo villaggio è comprensibile se “analizziamo” le sue tradizioni culturali e sociali. Storia e leggenda confluiscono quando si cerca di trovare l’origine di questo piccolo villaggio. La leggenda vuole che il villaggio sia stato fondato da uno dei sette saggi Rishi, Jamdagni. Mentre il saggio stava intensamente pregando Shiva, il Dio gli apparse, il Rishi allora domandò a Shiva di indicargli un luogo isolato in mezzo alle bellezze della natura, e Shiva gli indicò Malana. Ma il luogo indicatogli era già controllato dal Rakshasa Banasura. Il combattimento tra il Rishi e Banasura terminò con un accordo tra i due: che giustizia e amministrazione fossero state mantenute separate (la giustizia sotto il controllo di Jamadagni, mentre i membri del consiglio sarebbero stati scelti da Banasura), che durante le feste il primo sacrificio fosse dedicato a Banasura, l’obbligo della lingua Kanashi e il mantenimento delle tradizioni.

La lingua dei residenti di Malana è infatti il kanashi. Questo dialetto è parlato solo in questo villaggio e non assomiglia ai dialetti dei villaggi vicini. Il catalogo di lingue Ethnologue classifica il dialetto malanese all’interno delle lingue tibetano-burmesi invece che indo-europee, aggiungendo anche che il kanashi non ha nessuna somiglianza con le lingue tibetano-burmesi parlate nel Lahaul-Spiti e Kinnaur, e che il villaggio di Malana è circondato da popolazioni che parlano lingue indo-europee.

Secondo la tradizione, gli abitanti di Malana affermano di discendere dai greci. Precisamente dalle truppe di Alessandro Magno che durante la marcia verso l’India si fermarono presso il fiume Beas. Questa leggenda è originata sia da alcuni tratti caratteri somatici diversi (colore degli occhi, capelli) da quelli presenti nel sub-continente indiano; sia da alcune somiglianze architettoniche con le case greche. Anche se esami sulla tipizzazione genetica indicano una vicinanza al ceppo indo-ariano rispetto a quello greco, personalmente, non escludo che in quei tempi remoti qualche soldato abbia deciso di fermarsi in quei luoghi dando origine ad un mix genetico-culturale.

Il villaggio di Malana è diviso in due parti, la parte alta (Dhara Beda) e la parte bassa (Sor Beda) e gli abitanti del villaggio di Malana appartengono alla casta dei Rajputs (guerrieri). Agli stranieri è proibito vivere nel villaggio, solamente a due famiglie di suonatori è stato concesso il permesso di installarsi. Gli abitanti di Malana di conseguenza considerano tutti i non malanesi inferiori, per questo evitano ogni contatto fisico con gli stranieri (indiani o meno). Tutto il villaggio è considerato sacro, gli stranieri sono considerati impuri e per questo devono fare attenzione a non toccare nulla tanto che sono affissi dei cartelli per ricordarlo e avvisare del pagamento di una multa di 1500 rupie – denaro che copre il costo di una capra che verrà sacrificata per purificare l’oggetto dissacrato – per la violazione e anche i muretti a secco che delimitano le strade e le case stesse sono considerate sacre. Le fotografie ai templi non sono permesse. Al centro del villaggio vi è la piazza dove si riunisce l’hakkma (il consiglio). Sulla piazza si affacciano il tempio di Jamandagni Rishi e le dharamshalas (luoghi di riposo per i pellegrini): entrambi gli edifici hanno le travi di legno finemente intasiate con motivi geometrici, floreali e animali. Non è raro vedere nella piazza centrale gli uomini seduti o distesi intenti in conversazioni.

Un’altra caratteristica del villaggio di Malana è la sua forma di governo. Il villaggio, infatti, si autogoverna da sempre. L’organo centrale è un panchayat (assemblea) formato da: l’hakkma (corte alta) composta da tre cariche non elettive: goor, pujari e kardar. Il goor simboleggia l’incarnazione del Dio del villaggio e ne rappresenta la voce durante le decisioni, la tradizione vuole che ci possano essere più goor o anche nessuno; il pujari rappresenta il sacerdote e il kardar una sorta di amministratore del Dio. E poi c’è la jestha che rappresenta la “corte bassa” formata da 4 membri che a loro volta eleggono altri 4 membri (pogudar).

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MALANA OGGI

Oggi il villaggio di Malana cerca con difficoltà, non poco evidenti, di restare attaccato alle sue tradizioni. Ma il suo isolamento geografico, non riesce a far fronte alla pressione della globalizzazione che giorno dopo giorno si fa sempre più forte. A mio avviso, il processo di globalizzazione non è un unilateralmente innescato da grandi multinazionali ed attuato a livello globale. Ma è un processo che racchiude al suo interno vari fattori, non ultimo quello di “giustizia sociale”. Se volessimo effettuare una sorta di cronologia della globalizzazione di Malana, in merito ai racconti che ho sentito, possiamo fissare una data di partenza intorno alla metà degli anni ’60, quando i primi hippy iniziarono a viaggiare verso l’Asia. A dir il vero questi primi visitatori non portavano in seno il processo di globalizzazione, dato che erano un numero esiguo ed il villaggio di Malana era difficilmente accessibile. La meta di questi primi viaggiatori “alieni” il villaggio di Malana ed il suo hashish (a detta di tanti uno tra i migliori al mondo).

L’hashish prodotto a Malana ha delle leggere differenze rispetto a quello prodotto (sempre con lo stesso metodo) a Manali o a Tosh, o nei villaggi più interni della valle del Parvati. La “leggenda” vuole che il metodo di lavorazione per ottenere la famosa cream fu insegnato ai malanesi da un australiano che frequentando quelle zone per molto tempo, trovò nell’hashish prodotto con le piante di Malana il giusto mix di sapore e potenza. Il sapore tipico degli hashish della valle del Parvati e la potenza di quelli prodotti a Manali. Sicuramente nel villaggio si produceva hashish prima dell’arrivo dell’australiano, ma lui insegnò ai locali come ottenere un prodotto più pulito e meno grezzo. [conversazione con F. Casalone].

Questo turismo di nicchia iniziò ad aumentare in misura maggiore quando iniziarono i lavori di costruzione nel 1999, della prima diga sul fiume Malana (oggi stanno costruendo la seconda). La costruzione della strada racchiude in sè un doppio significato: da un lato abbiamo un chiaro esempio di “giustizia sociale”, dall’altro un chiaro esempio di come la globalizzazione abbia corrotto l’eco sostenibilità di questo villaggio. Mi spiego meglio. Per giustizia sociale intendo che la strada ha reso meno faticosa la vita dei malanesi. Lo stile di vita agricolo e pastorale, le avversità climatiche e territoriali rendono la vita dei malanesi molto dura, in misura maggiore negli anni addietro. Prima della costruzione della strada i malanesi si dovevano fare a piedi 23km per arrivare al villaggio più vicino (Jari) per procurarsi cibo e attrezzature varie o due giorni per arrivare a Naggar superando il Chandrakhani la; oggi la strada ha reso la vita un po’ più facile, soprattutto in casi di soccorso e urgenza. Come nel caso dell’incendio divampato a gennaio del 2008 quando, in pieno inverno, molti abitanti si ritrovarono senza casa. Grazie alla strada è stato possibile recapitare in modo rapido e agevole gli aiuti necessari per la ricostruzione. Prima dell’incendio solamente le nuove generazioni erano favorevoli alla sua costruzione. Dopo l’incendio anche l’opinione degli anziani divenne più elastica. Dall’altro lato della medaglia la strada è stata la principale causa di destabilizzazione di un sistema autarchico centenario. Il processo di globalizzazione e il cambiamento dei costumi locali ebbe già inizio con quei pochi hippy che portavano e instillavano (a loro insaputa) attraverso il loro vestiario fatto di: scarponi, giubbotti, jeans etc. il seme della novità nella mente e negli occhi dei giovani malanesi.

Con la costruzione della diga e della strada la situazione è andata peggiorando. Di fatti con la strada, il percorso verso Malana è stato reso più agevole e di conseguenza sempre più turisti con maggiori e nuove “tentazioni occidentali” hanno raggiunto il villaggio. Oggi i giovani malanesi indossano jeans e t-shirt, scarpe da ginnastica e stivali di plastica, al loro opposto gli anziani continuano a vestirsi con i loro abiti tradizionali di lana autoprodotti. Resta il fatto che queste novità portate dalla strada per poter essere acquistate necessitano di moneta (rupia indiana). Gli abitanti di Malana, vedendo l’autarchia del loro villaggio venir sgretolata dalla crescente globalizzazione e osservando un aumento dei turisti che si spingevano là per la loro charas, hanno iniziato a concentrarsi più intensamente sulla sua produzione, dato l’alto potere remunerativo. Oggi questo è diventato il modello economico predominante e a mio avviso destabilizzante.

Purtroppo i malanesi, vedendo i facili guadagni che ricavano dalla charas sono rimasti “vittime” del potere della moneta che li ha resi ciechi verso le problematiche a cui va incontro il villaggio. Infatti la strada oltre ad aver aumentato il flusso di turisti, ha anche portato prodotti che prima non vi erano: caramelle, bottiglie di plastica, patatine, tutti prodotti che hanno un confezionamento di plastica o alluminio. Confezioni che i malanesi dopo l’uso buttano per terra, cosicché la spazzatura sta invadendo tutto il villaggio. Questo degrado ambientale è causato dai malanesi che pensano ancora “alla maniera antica” quando i loro alimenti erano avvolti in foglie d’albero e quindi la “confezione” naturale non arrecava nessun danno all’ambiente e dall’assenza di una cultura ambientale.

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Cari amici vi saluto con questa frase che mi è venuta in mente quando sono giunto al villaggio di Malana: «Sono così accecati dal guadagno della charas che non si rendono conto della merda che li circonda».

Bom bholenat charsì cabine marsì! 
(ovvero, che i charsì non muoiano mai)

Naim Naderi

 

TG DV


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