Maks Bunny: il killer di Jack Makkia
Uno spettro si aggira per la rete: è lo spettro di Maks Bunny, crasi tra il ben noto personaggio della Warner e un mc bolognese di cui il malvagio coniglio sembra aver sancito la morte. Prima che Maks si aggiri anche per la scena, varrà la pena dire che al momento non ha una pagina fan, se non il profilo tramite il quale posta (rigorosamente in MAIUSCOLO) alcune considerazioni, aggiornamenti e gli ultimi lavori: qui.
La scomparsa di Jack Makkia
A dire la verità, uno spettro di cui ha senso parlare è anche quello di Jack Makkia, ucciso – ma con un certo solenne rispetto e con delle tempistiche piuttosto graduali – da un killer dagli occhi iniettati di sangue (?) che ha tutta l’aria di non disprezzare le carote. Qualcosa si era capito da un recente comunicato stampa, per quanto i più accorti se ne fossero resi conto già da un po’, seguendo la Audioplate.
Ora, le linee guida del progetto Maks Bunny sembrano essere state illustrate in una traccia-manifesto che fa di Bill Cosby – e dello scandalo che ha affossato definitivamente, nel nostro immaginario, il dottor Cliff Robinson – l’ideologo di riferimento, ma solo e soltanto (e sembra superfluo precisarlo) per far capire fino a dove si spingerà la provocatorietà del coniglio. Insomma, nel dubbio tra sedurla e sedarla, Maks ci permette di razionalizzare la scomparsa di Jack. Non solo: tra un epitaffio e un necrologio, Maks ci offre l’opportunità di ripercorrere, sotto forma di videografia, le varie tappe del percorso musicale di JM, in attesa che il mixtape “Metamorfosi di Jack” sia la pietra tombale definitiva.
Ah, condoglianze a Dima, Bargeman, Dam Larko, Virux
e ai membri dell’Arena 051 tutta.
Bologna
Quando, nel 2004, mi iscrissi all’Alma Mater, avevo una certezza: era il mio amico Elia, un ragazzo originario della mia città che si era trasferito a Bologna con i suoi alle medie, lasciando noi tutti al provincialismo alto-marchigiano. Ogni estate, anno dopo anno, Elia tornava, portando dalla City novità di ogni tipo (si andava da dettagli dell’abbigliamento a nuovi ascolti musicali) che noi raccoglievamo con interesse e immagazzinavamo prontamente. Dunque, nel momento in cui toccò a me raggiungere Elia a Bologna per la prima volta nella vita, ero pronto a uno scenario del tutto diverso da quello che stavo lasciando, eppure quello che trovai era, se possibile, ancora più diverso. Prima di tutto, Elia non era chiamato Elia bensì Ello, perché lì si usava così; in secondo luogo, Elia stava sì a Bologna, ma Bologna era anche tantissimi altri posti al di fuori dal centro per cui la tangenziale diventava qualcosa di essenziale: Calderara di Reno, in questo senso, non faceva eccezione. In terzo luogo, ed era ovvio, Elia aveva da anni degli amici locals, e i primi che conobbi – nonché i più importanti dell’universo bolognese di Ello – furono Mirco, detto Zanca, e Ivan, detto Makkia.
Poste queste premesse, il primo posto in cui Ello mi portò fu il Sottotetto, dove a 5 euro si aveva in omaggio un cocktail che ne costava 6, le donne entravano gratis, c’era un’altissima percentuale caraibica/centrafricana ed era esattamente dirimpetto al Covo, che fino a prova contraria era ed è, tuttora, uno dei più influenti locali di rock indipendente dello stivale. Tornando, si passava da Nanni, un fornaio notturno senza eguali nella produzione di ciccioli e mini-margherite appena sfornate. Più che istruirmi sulle classiche e noiosissime nozioni quali l’uso di termini come “rusco” e “tiro”, più che scherzare con noi sull’uso di regaz e vez (perché prima o poi, in un modo o nell’altro, lo slang diventa familiare), Elia detto Ello mi mostrava un mondo per me inimmaginabile. La tangenziale, detta “tange”, aveva un’importanza capitale; la macchina, ovviamente, veniva prima di tutto.
Ora, dopo qualche tempo, venni a sapere che Makkia “suonava”. Cosa suonasse non lo sapevo, ma sentivo che se ne iniziava, timidamente a parlare. Qualche mio amico iniziava a dirmi di averlo “sentito”, poi, addirittura, di averlo “sentito cantare”. Quando toccò a me, e francamente non ricordo come avvenne, credo che il periodo fosse pressappoco quello di questo lavoro:
Ne apprezzai la genuinità da strada, l’accento, il suono grezzo e sincero.
La sorpresa, per me fu grande.
Bolognesità
Perché non si dica che sto millantando un’amicizia con il compianto Jack Makkia, ci tengo a precisare che posso qualificarmi come suo “conoscente” e che, ciclicamente, ci siamo sempre incontrati, per quanto ciò sia accaduto, negli anni, sempre più di rado.
Nei cinque-sei anni successivi ho avuto modo di assistere, in varie sedi bolognesi (da Piazza Verdi, a via Zamboni 38, passando per Sottotetto e TPO), a performance di Makkia e dei vari membri dei diversi progetti di cui ha fatto parte e cui ha dato vita. Allo stesso modo, regolarmente, ho incontrato il fu Ivan a serate a cui partecipava come pubblico, fossero targate Gruff o Pharoahe Monch.
Che stessimo diventando tutti un po’ più grandi, acquisendo una nostra personalità il più possibile scevra da condizionamenti, lo capii all’uscita di Indennio, pezzo prodotto da DJ Shawa che ufficializzava, a mio modo di vedere, il marchio di fabbrica di Makkia: in poche parole (sto per usare una parola che è tabù), il suo stile.
Molta bolognesità, per un’atmosfera decisamente hardcore.
Il passaggio successivo è arrivato un paio di anni dopo: quando, cioè, ho trovato un pezzo che ha fatto parte, per un periodo, della mia personalissima playlist di tormentoni. In preda a un orgoglio tutto anagrafico, mi fissai con un pezzo che mi aveva conquistato. Filtro in carbonio aveva assunto, per il sottoscritto, grande valore simbolico: non era solo un lavoro in linea con i miei gusti, ma portava con sé contenuti da antologia. Voglio dire che avevo realizzato, tardivamente e solo da un po’, che dedicarsi a un certo genere musicale, nella città dell’Isola nel Kantiere non doveva essere facile: se, da una parte, la predisposizione poteva essere facilitata, d’altra parte emanciparsene poteva essere un problema. Specie se, oltre alla sopra citata Isola, lo stesso capoluogo regionale aveva accolto Joe Cassano ed era ancora la patria di Inoki. Ancora di più se, in tempi più recenti, l’underground della zona aveva conosciuto e apprezzato l’esperienza dei Fuoco Negli Occhi. Ecco: per me, da sbarbina, la collaborazione con Brain in Filtro in carbonio serviva a scacciare una volta per tutte etichette scomode e collegamenti scontati e non per forza necessari. Non era una questione di età: era più un fatto qualitativo, una legittimazione, un taglio netto.
Alcune evoluzioni
Del materiale biografico importante è arrivato anche dal mondo delle battles, posto che con il senno di poi sono tutti bravi a ricordare e nessuno vorrebbe dire “io c’ero” se il fatto non corrisponde a verità. S’intende che la vittoria al Battle Arena 2011 è senz’altro un bel riconoscimento, ma se serve una-prova-una dell’appartenenza per la vita di Makkia all’hardcore e all’underground, credo che questa vada ricercata dagli youtubers nella battaglia con Moreno: non tanto perché l’altro è andato al festival et cetera, quanto per tutto l’amore incondizionato che si può provare per l’incorreggibile Lupin.
Makkia, ormai divenuto Jack, dice “noi non andiamo a Sanremo”
Per completare l’excursus su genere e target di riferimento di Jack Makkia – sul quale i dubbi sono comunque pochi (è uno di loro) –, questo si può completare ricordando gli altri prodotti su cui ha messo la firma in tempi recenti. Merita una menzione il lavoro a quattro mani con Dam Larko, che sembra celebrare un’amicizia e un sodalizio musicale (tra tutte le tracce, scelgo di linkare la mia preferita: “Harlem Shake Fan****“), così come dovrà essere citata la collaborazione inclusa nell’ottimo album Masters of Kintsugi, che ha portato a “Mo’ Better Blues“. In generale, l’elaborazione del lutto è sempre dolorosa, dispiace, per Jack Makkia, perché aveva ancora molto dare. Ma forse, in questo caso, il coniglio Maks sarà così clemente da farci dono di nuovi materiali e nuova linfa. Perché la vita va avanti, e questo non è un male.
Gli ultimi fatti di cronaca
Ultimamente, ho incontrato Makkia in alcune sporadiche occasioni. Una volta, poco più un anno fa, l’ho incontrato in Piazza San Francesco e stavo per attaccargli una gran pezza. Lui, per fortuna, mi ha liquidato: senza rendermene conto, quella era la sera di Avellino-Bologna – un filo importante per le sorti della squadra e della tifoseria – e io, che pure ne ero al corrente, avevo rimosso e lo stavo rallentando nella corsa allo schermo che avrebbe proiettato il match in pay–tv.
Un’altra volta, la penultima, era lo scorso dicembre. A mezzanotte avevo compiuto trent’anni, mentre gli Asian Dub Foundation avevano appena finito di musicare dal vivo La Haine (L’odio) per il suo ventennale, e stavano lasciando posto a Katzuma, Moddi, Lugi e Trix. Makkia, al bancone del Crash, mi ha rassicurato: anche lui, non troppo tempo prima, aveva fronteggiato la ricorrenza ed era normale che a livello mentale avesse per me un certo significato. Tutto bene dunque, come sospettavo. Ma il messaggio, se ce n’era uno, era che questa cosa del passare del tempo non destabilizza per caso, ma perché è fisiologico che si scherzi sempre meno.
La terza e ultima volta, al Locomotiv, c’era il live di Fantini, Beats & Hate. Giusto il tempo per due parole da stadio, perché Bologna-Chievo 0-1 era stata una delusione troppo grande per entrambi. Il fatto era, convenimmo, il gol di Simone Pepe. Che non solo aveva segnato alla fine, ma rimaneva e sarebbe rimasto – anche agli occhi della Bulgarelli, che non l’aveva dimenticato – juventino come pochi.
Da lì, Jack Makkia non l’ho più visto, fino al triste epilogo reso noto a tutti dal cinico e spietato Maks.
Nella speranza che il buon Ivan possa insegnare agli angeli a chiudere barre in polleggio, lo congediamo dalla scena con un caloroso ringraziamento. Peccato, perché era un bravo ragazzo e ci sapeva fare. Per il resto, non ci rimane che seguire con interesse i progetti del coniglio, atteso quanto prima alla pubblicazione di nuove tracce. Chissà che, tra una cosa e l’altra, non si riveli indennio a sua volta.
[Ah, per la cronaca: Ello e Zanca, con Maks Bunny, c’entrano ancora (nel dubbio, rivedersi e riascoltarsi “MAO”)].