Mafia e politica: amiche per la pelle
«Io vi conosco. Voi siete quel giornalista che dà sempre fastidio… Ma lo sapete che dovete ringraziare la Madonna? Tempo fa, prima che mi arrestassero, vi abbiamo visto per strada. Eravate insieme a quel giudice, quello che pure lui ci ha dato sempre fastidio. Uno dei ragazzi che erano in macchina con me vi vide. “Capo, eccoli là… È un’occasione d’oro. Due piccioni con una fava. Facciamoli fuori!” Avevo appuntamento con una bellissima ragazza, avevo fretta e dissi di proseguire che, tanto, non sarebbe mancata occasione. Dovete la vita a quella ragazza. Vi ha salvato una grande scopata…».
Una situazione surreale che non auguro a nessuno. A parlarmi così era Pasquale Scotti, un boss di camorra potentissimo, poco dopo il suo arresto.
I suoi lo chiamavano “collier” a causa di una preziosa collana che aveva regalato a Rosetta, la sorella del suo boss, Raffaele Cutolo. Altri ancora invece preferivano chiamarlo “‘o studente”. Sì, perché Pasquale Scotti era un giovanotto sveglio e intelligente, uno che sapeva parlare e usava la testa prima della pistola. Aveva usato, e tanto, anche quella per la verità. La sua scalata all’interno della Nuova Camorra Organizzata era frutto di una sequenza impressionante di omicidi. Ora che Cutolo era in galera, il vero capo dell’organizzazione era lui.
Oltre ad assassinare, infatti, Scotti aveva la capacità di tessere relazioni. Relazioni importanti, nel mondo che allora (e ancora oggi) davvero conta. Imprenditori d’alto bordo, finanzieri d’assalto, servizi segreti deviati e politici. Era amico del faccendiere Francesco Pazienza, l’anima nera del Super Sismi, la struttura deviata dei nostri servizi segreti al centro di mille torbide storie.
Quando lo avevano catturato, nel lontano 1983, Pasquale Scotti nella sua agendina aveva numeri di telefono davvero importanti. Spiccavano tra i tanti quelli riservati di Vincenzo Scotti, ministro democristiano degli interni e Ciriaco De Mita. A tal proposito, il verbale di interrogatorio fu di meno di dieci righe. Gli chiesero come mai avesse quei numeri. Rispose che gli servivano per minacciare i due esponenti politici. E nessuno gli disse che quella risposta era insufficiente e persino ridicola. La camorra faceva stalkeraggio telefonico? Ma via…
Dopo un po’ il boss iniziò a collaborare. E in tanti sperarono fosse tempo di giustizia. Erano gli anni dei misteri italiani. Uno fra tutti la vorticosa, torbida, sporca trattativa Cirillo. Ciro Cirillo era un esponente della DC campana, uno di alto livello che conosceva tanti traffici a seguito della miliardaria e corrotta ricostruzione post terremoto. Lo avevano sequestrato le Brigate Rosse. Per la sua liberazione successe un po’ di tutto. Si ipotizzò una trattativa con protagonisti esponenti della DC, dei servizi segreti e della camorra di Cutolo. Una sporca, sporchissima faccenda. Che patti c’erano stati tra camorra, Dc, servizi deviati e colonna napoletana delle Br? L’annunciata collaborazione di Pasquale Scotti apriva grandi spiragli a chi aveva ansia di verità. Lui sapeva, conosceva i dettagli di quell’affaire e di tanti altri misteri.
Ne era stato protagonista in prima persona. E sapeva pure dove era nascosto l’archivio del suo capo. Registrazioni, documenti, foto che documentavano l’intreccio di interessi sviluppatosi intorno al caso Cirillo e ad altre brutte vicende italiane, ad esempio la stagione delle bombe sui treni. La decisione di collaborare di Pasquale Scotti apriva speranze per alcuni ma gettava nel panico più profondo chi aveva tutto da perdere se lui avesse parlato. Ambienti di potere altissimi. Interessati al più assoluto silenzio. E che erano già al lavoro perché i misteri d’Italia rimanessero tali. Anche il caso Cirillo.
Più volte Carlo Alemi, il magistrato che aveva tra le mani quell’inchiesta, era arrivato ad un passo dalla verità e dal prezioso archivio di Raffaele Cutolo. Sempre una serie di strane coincidenze aveva fatto fallire ogni tentativo. Era successo pure che un altro pentito, Salvatore Imperatrice avesse messo a verbale faccende e nomi scottanti. Ad esempio, un coinvolgimento di Ciriaco De Mita nell’affaire Cirillo. Lo avevano ritrovato impiccato, poco tempo dopo, nella sua cella. Strano, visto che non aveva mai manifestato volontà suicide.
Delle stesse faccende aveva cominciato a parlare Carmine Di Girolamo, un altro capo della camorra cutoliana pentitosi. Non firmò però alcun verbale. Un giorno lo portarono a mare e lui scappò facendo perdere ogni traccia. Qualcuno tra gli inquirenti aveva fatto sapere a certe stanze dei bottoni della pericolosità delle sue rivelazioni? Di Girolamo aveva accennato a certe faccende perché chi doveva capire, lo facesse e si muovesse rapidamente per farlo fuggire?
Fatto sta che “‘o studente”, Pasquale Scotti, comincia a riempire pagine e pagine di verbali. Confessa omicidi, fa trovare vittime di lupara bianca svela retroscena di faide mafiose. Quando finalmente gli chiedono del terzo livello, cioè dei rapporti di commistione con la politica, racconta tante cose. Il boss “pentito” accenna a nomi eccellenti ai vertici della Dc che sarebbero stati protagonisti della trattativa Cirillo. In più avrebbe iniziato a raccontare di un’altra bruttissima e misteriosa faccenda, il sequestro De Martino.
Qualche anno prima era stato sequestrato il rampollo dell’allora numero uno del partito socialista. Luigi De Martino era il nome più papabile per la presidenza della Repubblica ed era acerrimo nemico di un giovanotto rampante del suo partito, tal Bettino Craxi. De Martino sceglie di salvare suo figlio e paga il riscatto. Niente più presidenza della repubblica, perdita di consensi e rapidamente la nuova star del Psi diviene Bettino Craxi.
Il figlio di De Martino viene sequestrato in Campania. In Campania viene pagato il riscatto. Ma le banconote che vengono rintracciate, sono a Milano, nelle mani del clan Turatello, il re delle notti milanesi, titolare di tanti punti di ritrovo per i vip dell’epoca tra cui Bettino Craxi. Pasquale Scotti racconta la trama di uno spaventoso intrigo organizzato per defenestrare De Martino.
Quando però si tratta di firmare questi verbali scottanti, rifiuta. Vuole pensarci. Troppo pericoloso. Nessuno insiste. Va a riflettere nel carcere in cui sono ospitati tanti collaboratori di giustizia, in quel di Paliano.
Dopo qualche tempo fa sapere agli inquirenti che non sta bene. Chiede di essere ricoverato all’ospedale di Caserta, la città in cui ha cominciato a collaborare. Dove aveva iniziato a collaborare anche Carmine di Girolamo…. Qualcuno avvisa gli inquirenti che Pasquale Scotti ha ben altri programmi, altro che curarsi. Un pentito in cella con lui fa sapere che Scotti ha un piano di fuga. Nessuno lo ascolta. Scotti viene ricoverato e alla vigilia di Natale del 1984 scappa aiutato da una rete di complicità impressionante. Quei verbali non firmati erano un messaggio? Una richiesta di aiuto e un ricatto a chi aveva bisogno del suo silenzio?
Per trenta anni resta uccel di bosco, nessuno lo trova. Qualcuno protegge la sua latitanza. Come per Riina, Provenzano, Messina, Denaro. Scotti sa troppe cose, troppe. Lo riacciuffano in Brasile qualche anno fa. Se parla, ricostruiremo qualche pezzo di storia italiana, ma poco più. Gran parte dei nomi eccellenti che potrebbe fare, infatti, se ne sono andati all’altro mondo da tempo.
Aveva ragione Peppino Impastato. La mafia è una montagna di merda, la vera natura della storia dei poteri forti in Italia e degli eterni misteri che ammorbano la nostra storia.