L’oasi liberata. Una storia poliamorosa
«Nel mondo esiste una vera e propria ossessione per il sesso. Le persone non si sentono complete, sono sempre alla ricerca di un qualcosa che, alla fine, non le completa mai. Il poliamore di cui parliamo qui va oltre il sesso: lo trascende» mi dice Kamala, nel tentativo di spiegarmi cosa è per lei l’amore. Perché Kamala, sull’amore, ha parecchie cose da dire. E con lei anche tutti gli altri abitanti dell’Ecovillaggio Oasi Liberata, una realtà comunitaria costituita da dieci persone e che sorge nei pressi di Pavia, a Villanterio. Stanno lì dal 2014, dentro a un bello ed elegante stabile immerso nel verde che, da quelle parti, è predominante. Abitano assieme, condividendo spazi e attimi di vita quotidiana. E non solo. Ad essere condiviso è anche l’affetto. Infatti sono poliamorosi, gli abitanti dell’Oasi di Villanterio. Si amano reciprocamente, con tutto quel che una parola come questa riesce a evocare. Perché l’amore non è esclusivo della coppia e, coi numeri, ha ben poco a che vedere. Di questo ne sono convinti. E allora è necessario capire. È necessario perché la cultura dominante va in ben altra direzione. Va nella direzione di un amore esclusivo, monogamo, pensato sulla base della famiglia tradizionale, autentico solo tra uomo e donna. È esclusivo nel senso letterale del termine: esclude. E tutto ciò che è escluso, in qualche modo, è anche pensato come perverso. È questa la tendenza. Eppure, a furia di sparare sentenze, nessuno capisce realmente.
Poliamore, tra natura umana e libertà
Essere poliamorosi significa mettere in discussione un intero sistema di pensiero. Significa rompere con un modello e mostrarne le ombre. Significa darsi la possibilità di mandare in frantumi qualche tabù. Gli abitanti dell’Oasi, tutto questo lo sanno bene. Per questo sono andato a conoscerli: per fare chiarezza.
«L’uomo, per sua natura, è un animale poliamoroso, non è un animale da coppia» mi spiega Korin, una delle abitanti: «In genere, il poliamore viene concepito come un qualcosa che ha a che vedere solo ed esclusivamente col sesso, ma non è così. Il poliamore ha a che fare, soprattutto, col rendere i rapporti più orizzontali».
A sentire Korin, essere poliamorosi è un po’ come provare a riscoprire la natura originaria dell’essere umano. Ed è questa l’attività principale dell’Oasi. È una realtà comunitaria a vocazione spirituale, infatti. E il poliamore è lo strumento per liberarsi dalle convenzioni sociali che, in un modo o nell’altro, vincolano la libera espressione della persona.
«Non siamo scambisti»
Davanti a realtà come quella dell’Oasi di Villanterio, tanti possono pensare, a un primo sguardo, sempre troppo superficiale per cogliere la realtà delle cose, che si tratti di un circolo di scambisti o di coppie aperte o, più semplicemente, di gente che ha voglia di divertirsi un po’. Eppure, per gli abitanti di questa realtà così singolare nel panorama italiano, la questione non può essere pensata in questi termini. «Qui da noi, – mi racconta Nala, l’abitante che è stata il mio “Cicerone” durante la visita a Villanterio – non ci sono coppie e nemmeno coppie aperte. Non siamo scambisti. Qui non abbiamo nulla da scambiare. Noi viviamo insieme, ci amiamo reciprocamente, ci abbracciamo, ci accarezziamo, ci baciamo, condividiamo il nostro tempo e, facendo questo, ognuno di noi cresce e prova a liberarsi dagli schemi imposti là fuori nel mondo. Essere una “coppia” aperta significa, in qualche modo, rimanere dentro lo schema: noi ce ne vogliamo proprio liberare». È Aysha, questa volta, a spiegarmi la questione. «Qui dentro vogliamo provare a “liberarci” da quello che possiamo chiamare “sesso meccanico”, ovvero una relazione che ha a che vedere con la penetrazione. Qui il contatto tra corpi ha come fine ultimo la crescita personale, una crescita che vuole andare in direzione della liberazione».
Quella libertà riconquistata
Il poliamore che gli abitanti dell’Oasi praticano non è solo il tentativo di liberarsi dagli schemi tipici della coppia. Si tratta anche del tentativo di liberarsi da tutti quei sentimenti che, in un modo o nell’altro, risultano essere tossici. Come la gelosia, ad esempio. Oppure il possesso. E, più in generale, da tutti quei sentimenti e dinamiche che creano gerarchie e sottomissione. Perché uno dei problemi delle nostre società è, appunto, la sottomissione: è da questa che bisogna guardarsi. All’Oasi lo sanno bene. Perché tra di loro anche la gelosia è pensata come innaturale e, in ogni caso, questa si innesca nel momento in cui arrivi a percepire chi hai davanti come una tua proprietà esclusiva. Ma gli esseri umani non si possono possedere, anche se a volte si è tentati di crederlo. Non sono una proprietà. Forse è questo il senso del poliamore praticato all’Oasi: un tentativo di affermare la libertà dell’individuo in un momento della storia in cui le libertà tendono, sempre più, a essere messe da parte. Una libertà riconquistata e generata da un semplice ed elegante atto di amore.