L’internet che volevamo non c’è più
Internet è stato per molti anni una frontiera di sviluppo. Un grosso esperimento umano, non solo tecnologico, una specie di laboratorio sociale distribuito. Nel bene e nel male molti dei vecchi modelli – dalla carta stampata al mercato musicale, passando per la politica e i consumi – sono stati sovvertiti o rimessi in discussione proprio perché la struttura decentralizzata della rete veniva ad essi applicata. Ma il selvaggio west del web è stato definitivamente conquistato. Ora gli indiani sono solo nelle riserve. E le pepite d’oro più grandi sono tutte state trovate. Se per un certo periodo una certa idea del web come sistema aperto e democratico sembrava essere il nuovo Eldorado dei diritti civili e di un mondo più giusto oggi tutto questo è, semplicemente, finito.
Tra paranoie terroristiche e gigantismo non solo digitale di una manciata di aziende come Google e Facebook, il web come l’abbiamo immaginato e sperato non esiste più. Le possibilità politiche insite nel concetto di rete sono state affossate da impulsi meno nobili come paura, narcisismo e modelli di business che si basano sullo sfruttamento delle informazioni degli utenti.
I social network e il mobile hanno riportato sistemi chiusi e centralizzati laddove prima c’era più libertà e apertura. Tim Berners Lee, ricercatore del Cern di Ginevra, è colui che ha inventato il Web, ovvero il sistema di pagine connesse da link liberamente raggiungibili da qualsiasi computer connesso nel mondo. I protocolli che rendono ciò possibile non furono volontariamente brevettati, in modo che chiunque li potesse utilizzare senza dover pagare. Questa semplice scelta ha permesso tutto quello che è venuto dopo.
La prima pagina web risale a 25 anni fa. E 25 anni sono un periodo non breve. Internet ormai non è più qualcosa di nuovo. E innovatori non ci si può più improvvisare. Due ragazzi in un garage non possono far più niente oggi senza qualche solida conoscenza e dei finanziamenti alle spalle. Il web libero è rimasta un’isoletta mentre a un certo punto sembrava fosse il mare intero. Non ce ne rendiamo conto perché viviamo con lo sguardo rivolto al passato. E perché commettiamo un fondamentale errore di prospettiva.
La distanza temporale che ci separa dall’11 settembre 2001 è maggiore di quella che c’è tra il giorno dell’attacco alle torri gemelle e la caduta del muro di Berlino. Se il vecchio web era figlio dell’idea di aperura e libertà, il nuovo panorama tecnologico è segnato da una certa paura e tendenza al controllo e al setaccio delle informazioni e dei comportamenti degli individui, atteggiamenti figli del controllo giustificato dalla minaccia del terrorismo. Governi e agenzie di marketing hanno in un certo senso archiviato i nostri comportamenti online, siamo liberi ma controllati.
La voglia di libertà e apertura al mondo è stata rimpiazzata da bisogno di sicurezza e chiusura nei recinti conosciuti. Nuovi muri, digitali e fisici, vengono costruiti appena dimenticata la gioia della scomparsa di quelli vecchi. Universo fisico e digitale non sono separati, ma sono lo specchio l’uno dell’altro. E il mondo che vogliamo oggi più che mai dipende dalla tecnologia che scegliamo.