Contro-informazione

L’insensatezza del proibizionismo

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La coltivazione della canapa per uso industriale, coltivata ovunque fin da quando esiste l’agricoltura, è sempre più indispensabile per l’equilibrio dell’ambiente e per un’economia sostenibile. Tuttavia è proibita, salvo deroghe e limitazioni, perché è difficilmente distinguibile dalla canapa indiana. La canapa indiana a basse dosi (marijuana) è proibita come se fosse una droga, mentre i suoi effetti psicoattivi sono blandi e socialmente accettabili, non provoca danni né a breve né a lungo termine ed è anzi un importantissimo farmaco; ad alte dosi è ugualmente proibita perché dà effetti allucinogeni, anche se non provoca danni fisici ma forse solo una leggera dipendenza. Alla luce di queste considerazioni ne deriva che: non si può liberalizzare la coltivazione della canapa industriale perché ciò comporterebbe il rischio di allentare la proibizione sulla marijuana; non si può liberalizzare la marijuana, anche se non è una droga ma un farmaco naturale, perché ciò comporterebbe il rischio di allentare la proibizione sull’hashish, di fatto una sostanza innocua e comunque ben poco usata!

Nel comportamento di molti dei proibizionisti della cannabis sembra di scorgere quella che si potrebbe chiamare “la sindrome della prima guerra mondiale”. Per spiegare cos’è la sindrome della prima guerra mondiale è necessario fare una digressione. Le guerre di solito nascono quando negli stati ci sono forti tensioni interne che non si possono risolvere: queste tensioni vengono allora proiettate all’esterno, verso i paesi confinanti. Ma la prima guerra mondiale non è nata così. Anzi l’Europa di quegli anni stava vivendo un periodo di crescita economica e di crescente benessere. Capitarono dei fatti che portarono Francia e Germania ad un confronto militare. Ognuno dei due paesi pensava che sarebbe stato sufficiente mostrare i muscoli, e poi, dopo qualche mese, ognuno sarebbe tornato ai suoi soliti affari. Invece, dopo soli due o tre mesi, erano già morte dalle due parti alcune decine di migliaia di giovani, e la brillante esibizione di potenza si era trasformata in una sporca e sanguinosa guerra di trincea. A questo punto sarebbe stato il momento di dire: questa guerra non la vogliamo fare, ci siamo sbagliati, torniamo indietro. Ma come si faceva: c’erano già decine di migliaia di morti! E così la guerra è continuata, e alla fine i morti sono stati decine di milioni. Così è per la canapa indiana. Come si fa a dire adesso: “Scusateci, abbiamo sbagliato, la cannabis è completamente innocua, anzi è un benefico farmaco”, dopo tante professioni di fede sulla pericolosità e sugli effetti demoniaci di questa sostanza, dopo che milioni di persone in tutto il mondo sono finite in galera solo per avere fumato uno spinello? E’ forse per questo motivo che non si ha il coraggio di ammettere l’assurdità di questo proibizionismo, che mette sullo stesso piano la cannabis e droghe come l’eroina e la cocaina.

Negli ospedali americani già da tempo l’uso medico della cannabis è tollerato e addirittura incoraggiato dai medici, nonostante il permanere della proibizione del governo federale. Più di recente, dopo l’Olanda, la Svizzera e di fatto la Spagna, anche il Belgio, nel gennaio 2001, ha deciso di liberalizzare completamente il consumo della cannabis. E persino nell’arretrata Italia gli usi medici della canapa cominciano ad essere conosciuti. Ma il processo è lento e lungo, soprattutto quando si ha che fare con una miope burocrazia comunitaria, intenta a proteggere i più svariati interessi.

Silvia Crema

 



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