Link in bio: Instagram a circuito chiuso
Chi bazzica Instagram, vale a dire una buona parte di noi, si sarà certamente imbattuto – o perché no, avrà anche utilizzato – una dicitura di tre semplici parole: Link In Bio. Una scritta che può comparire in accompagnamento a un post o a una storia, e che rimanda alla biografia dell’utente, ovvero a quella che sarebbe l’homepage dei profili Instagram. Lì, nella biografia, troverete il link a cui il soggetto-utente vuole rimandare il suo follower: che sia il nome di un albergo da visitare, un articolo da leggere, una canzone da ascoltare, uno shampoo da utilizzare o qualsiasi delle migliaia di cose che si possono trovare nel web.
Perché questa sigla essenziale è diventata così importante? Per una semplice ragione: Instagram non ha nessun interesse a rendere il suo funzionamento fluido verso altre piattaforme, altri universi paralleli di Internet. A Instagram sta bene il mondo di Instagram e non gli va giù l’idea di infestare il proprio ecosistema con milioni di link che fungano da tentazione per i milioni di utenti che si connettono alla piattaforma a ogni secondo. Per questa ragione, non potendo abbattere del tutto l’esistenza dei collegamenti – uno dei principi fondanti di Internet alle origini – ne limita la possibilità il più possibile: consentendone al massimo uno, da inserire nelle righe di biografia, oppure sì, attribuendo ad alcuni iscritti questo potere straordinario ma solo nel caso sia un utente da almeno diecimila follower, o se fosse il profilo di un’attività commerciale, con un profilo business attivo su Facebook.
Va da sé che questo meccanismo comporta degli indubbi vantaggi di controllo da parte di Instagram, compresa una notevole riduzione di costi per monitorare quali siano i link postati dagli utenti (sappiamo bene che esistono spammer, troll e malintenzionati digitali a profusione). L’altra faccia della medaglia, la più sconfortante, è che si tratta di un modello chiuso, rigido. Per non dire autoritario.