Ambiente e natura

L’inferno petrolifero in Iraq: la tragedia ambientale di cui nessuno parla

petrolio-iraq-1Il campo petrolifero di Qayyara, in Iraq, arde ininterrottamente da Agosto. Se fosse successo nei nostri paesi occidentali ne avremmo parlato e disquisito per settimane.

Ma succede in Iraq e cosi sono qualche eroica agenzia di stampa internazionale – Reuters in questo caso – ne parla.  Oppure la Nasa che qualche tempo fa rilasciò foto da satellite di quanto accadeva nei cieli del paese.

Man mano che l’Isis perde terreno in Medio Oriente appiccano fuoco ai pozzi che controllavano e se ne vanno.  Hanno semplicemente messo esplosivi a casaccio e se ne sono andati.

Non gliene importava niente della gente, come può importargli dell’ambiente?

E così in una zona del nord dell’Iraq ci sono campi di petrolio epicentri di incendi apocalittici e circondati da fiamme e fumi che persistono da mesi, alcuni di essi da agosto 2016 ininterrottamente.

A cercare di fermare il fuoco e le fuoriuscite quel che resta del North Oil Company dell’Iraq, uomini che si avvolgono il corpo e il viso in stoffe protettive e che cercano di estinguere le fiamme.

Fra questi uomoini Hussein Saleh che per 30 anni ha lavorato nel settore oil and gas e che dice di non avere mai visto niente di simile.  Ci vogliono giorni per sistemare un solo pozzo. Finora sono riusciti a fermare le fiamme che venivano fuori da sette o otto pozzi. Ne rimangono ancora dodici.

Su ogni pozzo c’è un gruppo di circa 150 persone a studiare come meglio fare e a usare tutte le precauzioni possibili.  Il lavoro è pericoloso, non solo per le fiamme e i fumi tossici, ma perchè l’Isis ha anche collocato mine e bombe nei pressi dei pozzi stessi.

A volte viene usata acqua che si trasforma subito in un fumo grigio, altre volte viene scavato il terreno attorno ai pozzi metro per metro per eliminare le possibili mine. Quando ne trovano, le fanno esplodere in modo controllato. Sotto le fiamme a volte ci sono malori.

Il petrolio dell’Iraq e della Siria è servito ai signori dell’Isis per finanziare le proprie attività, tramite la vendita sul mercato nero fin dal 2014.



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