Libertà di contrabbando nuove forme di proibizionismo
Un modo efficace per rendere appetibile un prodotto è vestirlo di trasgressione. Quel gusto del proibito che rende più di ogni reclame. E’ il tema di questo numero di Dolce Vita e rappresenta uno spunto valido per riflessioni che riguardano il nostro grado di consapevolezza rispetto a diritti che dovremmo esercitare, all’attitudine al rispetto dei doveri, ma, soprattutto, di attaccamento alla libertà. In ogni sua forma.
Vietare l’alcool nell’America degli anni ’30 aveva arricchito Al Capone e reso ogni bevanda alcolica preziosa come diamanti. Proibendo l’alcool lo Stato, in una qualche misura, abdicava irresponsabilmente alla tutela della salute dei propri cittadini ogni qualvolta questi decidevano di consumare il frutto di un’attività umana con secoli di storia alle spalle. Ma creava anche delle diseconomie devastanti di cui la storia ci ha raccontato i segni.
Ripetere lo stesso giochetto diabolico con le droghe, di ogni genere, ha arricchito le mafie. Creato bacini di consenso elettorale attorno a quegli esponenti politici che della lotta all’uso ed al traffico degli stupefacenti hanno fatto il loro principale cavallo di battaglia. Un giochetto che costa ogni anno, ai governi di tutto il mondo “occidentale”, cifre spropositate.
Se un quinto delle risorse utilizzate per dare la caccia a consumatori, spacciatori e trafficanti (arruolare poliziotti, acquistare dispositivi di rilevamento, condurre le inchieste, addestrare i cani) fossero utilizzate per controllare la produzione e la distribuzione degli stupefacenti; realizzare centri di recupero all’avanguardia; promuovere serie campagne informative per la dissuasione dal consumo di prodotti chimici ed in generale sulle conseguenze che l’assunzione di droghe comporta; potremmo ridurre l’impatto di quei fenomeni di disagio sociale nell’ambito dei quali l’uso di droghe diviene un fattore di amplificazione.
Questo significa non perseguire più il reato? Lasciare liberi i narcos? Fare arricchire le mafie? Niente affatto. Al contrario, se lo Stato avesse il monopolio della produzione e vendita degli oppiacei, dei cannabinoidi, eccetera potrebbe garantire, da una parte, qualità dei prodotti e, dall’altra, spendere molti più soldi in prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze. Ma la cosa più rivoluzionaria sarebbe l’azzeramento della principale fonte di guadagno della criminalità organizzata.
Ma, dicevamo, il proibito è desiderato. Nitimur in vetitum semper cupimusque negatum, diceva Ovidio. Sono, però cambiati i tempi. E’ cambiata la strategia con la quale i governi tendono ad influenzare le masse. Con la scusa della minaccia del terrorismo gli Stati Uniti di Bush hanno dato un colpo tremendo alle libertà civili senza dover dare troppo seguito a quella fetta di popolazione che denunciava la gravità di alcuni provvedimenti. Ed anni prima, argomentando la necessità di una “stabilità economica” ancora non materializzata, in Europa è stata sottratta la sovranità monetaria a diversi stati, l’Italia tra questi.
E l’Italia è il paese “occidentale” dove oggi la libertà di espressione e di informazione è messo a rischio da una serie di fattori tanto grandi da risultare invisibili a molti osservatori interni, ma ben chiari a chi ci guarda dall’estero. Indovinello. Qual è la parola più inflazionata da questo Governo? Libertà. Con tanto di partito. L’invenzione di un “popolo” di “missionari” di libertà tutti chiusi nel contenitore del PDL. Proprio loro che, un pezzo alla volta, la libertà la stanno riducendo al lumicino.
Una proposta di legge per impedire i contenuti anonimi nel web. Una che consenta la chiusura degli spazi dove si consumano “apologie di reato”. Il divieto di pubblicare atti di indagine fino all’inizio del processo, anche per riassunto. Le intercettazioni telefoniche che nel disegno di legge Alfano diventano una specie di lotteria a premi. Tanto limitate nella validità processuale e nella durata da rendere più facile una vincita al Lotto che la raccolta di un elemento di prova a carico dei malviventi.
Tutto a difesa della “Libertà”.
Un Premier che dice ad una giornalista “cosa scrivi? Guarda che a casa mia facciamo riunioni sulla RAI.” In nome della libertà. Specie se si pensa che l’attuale Premier è proprietario delle tre reti che, nella teoria di un mercato libero, sarebbero concorrenti delle altre tre pubbliche.
Ed è proprio per garantire la “libertà” di espressione che i nuovi vertici RAI, amanti della genuflessione, che si intima a Michele Santoro una puntata riparatrice e si sospende Vauro Senesi per una puntata. Mentre a Roma il Sindaco Alemanno vieta, in pochi mesi, ai ragazzi di suonare la chitarra sulle scale di Trinità dei Monti bevendo una birra o di prendere un cornetto caldo dopo l’una di notte. Libertà, libertà, libertà. Così tanta da farti passare la voglia.
Sarà anche per questo che la rete, con tutti quei pusher, diventa un luogo del contrabbando. Come questa rivista e, per parte sua, questa rubrica.