HipHop skillz

L'Hip Hop in Italia è un genere maturo?

 

rap bambini«È un genere che saprebbero fare tutti», «questi testi li scriverebbe pure un bambino», «non serve alcun talento», e giù a scimmiottare un rapper, con le corna a tempo e le ginocchia dondolanti. Quante volte avete sentito e visto questo approccio all’hip hop da parte di persone adulte, o quanto meno da chi conosce superficialmente il rap? Molte, immaginiamo, e ancor di più da quando il genere si è completamente sdoganato, arrivando addirittura ad essere grande protagonista nella prima serata di Raiuno – lo scorso 5 giugno, quando sul palco dei Wind Music Awards si esibirono Fedez, Emis Killa, Marracash, Clementino, Gemitaiz & MadMan, Rocco Hunt e Club Dogo, a proprio agio mischiati tra Ligabue, Modà, Eros Ramazzotti e Gigi D’Alessio.

Il rap italiano continua a guadagnare le prime posizioni delle classifiche di vendita e, dopo il clamoroso boom di views su Youtube, sta trovando sempre più spazio anche nella tv generalista. Qui i rapper si sono reinventati giudici di talent show (Fedez e J-Ax), dove hanno partecipato e addirittura vinto (Briga e Moreno), hanno condotto reality a loro dedicati (Club Dogo), vinto festival nazional-popolari (Rocco Hunt) e sono stati persino convocati nella nazionale italiana cantanti (con l’ormai famoso tunnel di Moreno al pallone d’oro Pavel Nedved). Insomma, il genere si è affacciato anche al pubblico più attempato, quello formato pure dalle casalinghe e dalle nonne. Un pubblico che lo riconosce come fenomeno nuovo e sorprendente, dunque marcatamente giovanile: una visione corroborata da buona parte del rap mainstream in Italia, in classifica non per particolari meriti o qualità artistiche, ma perché di facile fruizione. In una sola parola: pop.

Eppure, negli scorsi mesi, i rapper hanno saputo dire la propria anche nei talk show politici: se il monologo di J-Ax contro la Lega Nord, andato in onda a Servizio Pubblico, è stato poi condiviso da più di 16mila persone, il socio Fedez si è dimostrato ben più abile con i 140 caratteri di Twitter che con le sedici barre di un verso rap sul tema dell’Expo, attirando le critiche di giornalisti come Nicola Porro, Alessandro Sallusti e Filippo Facci. Il rapper romano Chicoria ha inoltre preso parte ad uno scontro con Giovanardi sul tema-cannabis, guadagnandosi poi il dissing, in forma rap, dello stesso senatore del Nuovo Centro Destra. Per questi motivi, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano Andrea Scanzi ha definito i rapper «l’unica (o quasi) opposizione politica in Italia»: artisti impegnati e politicamente scorretti che sono gli unici a fare “protesta” nel panorama musicale del Belpaese. Una provocazione che sottace certo un fondo di verità, ma che non convince del tutto e soprattutto non ne fa ancora un genere maturo, anzi.

Negli States, gli scontri di Ferguson tra la comunità nera e la polizia hanno interessato da vicino l’hip hop americano. I rapper hanno impugnato la protesta con canzoni (vedasi “Be Free” di J. Cole, “Black Rage” di Lauryn Hill, “Like Me” di Joey Bada$$ e “Ahhh Shit” della G-Unit – e con la copertina concettuale di “To Pimp a Butterfly” di Kendrick Lamar), ma ci hanno messo la faccia direttamente, nelle sfilate pacifiche: non solo veterani underground come Q-Tip o Talib Kweli, ma anche artisti da dischi in classifica, come Macklemore. Posizioni scomode, impopolari, sicuramente non mirate ad ingraziarsi l’opinione pubblica.

In quanto genere che può convogliare la rabbia popolare su binari positivi, il rap può davvero ergersi a “opposizione” politica anche in Italia, sempre se riesca a rifuggire il populismo e la connotazione marcatamente social dei suoi proclami. La lezione di Ferguson e dell’hip hop americano può essere molto preziosa per il rap mainstream italiano, che potrà realmente definirsi un genere maturo non appena farà scelte coraggiose, artisticamente e socialmente, a costo di risultare anch’esse impopolari.

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Tratto dal Numero 59 (luglio/agosto) di Dolce Vita Magazine



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