L’esperienza della prigionia non ti lascia mai
Difficile descrivere oggettivamente e in termini assoluti quello che lascia dentro un essere vivente l’esperienza della prigionia, sia esso uomo o animale, sia che l’esperienza derivi da fattori che possono, in un contesto di “società civile”, legittimarla in ragione dall’infrazione alle regole costituite.
Non voglio addentrami sullo scivoloso terreno del potere rieducativo e deterrente che le punizioni possono avere o meno, mi interessa porre l’attenzione sulle cicatrici che rimangono nell’anima di chi ha dovuto confrontarsi con la privazione della propria libertà; mi arrogo la presunzione di affermare che anche gli animali abbiano un’anima e che anch’essa, così come quella del peggior criminale, porterà per sempre i segni di un periodo che forse riuscirà a seppellire nei meandri più profondi, ma le cui tracce certamente non potrà cancellare.
Difficile affermare con certezza se queste tracce rappresenteranno per il suo futuro, e per quello dell’ordine costituito, una sorta di “flangia” che ne garantirà la “tenuta di strada” sulla retta via oppure, se in situazioni particolari ed estreme, le tracce seppellite non riemergeranno prepotentemente e in modo sconveniente.
V’è un termine onomatopeico nella nostra magnifica lingua che vorrei proporre: “Clangore”. Può riferirsi anche al rumore delle serrature quando grosse chiavi girano al loro interno; se nel caso specifico, la chiave chiude le due pesanti porte che ti separeranno dal resto del mondo sino alla mattina seguente, non potrai mai più scordarne il suono, la frequenza, il ritmo e il tempo scandito in quelle battute: KLANG! KLANG! KLAK!… Ti resterà dentro per sempre, e seppur non riuscirai a ricordartene consciamente ogni volta che anche solo una di quelle “note” raggiungerà per caso il tuo timpano, ti riporterà in cella.
Un po’ come gli “orsi ballerini” del circo, che vengono ammaestrati in gabbie il cui pavimento si arroventa quando parte la stessa musica della tromba che servirà a deliziare gli spettatori; si abituano ad associare le note al calore che, scottandogli i piedi li costringe ad alzare prima una zampa e poi l’altra, e così, anche in assenza di calore, ripeteranno per sempre quel gesto che ci dà l’illusione stiano ballando.