L’emancipazione culturale tunisina a passo di breakdance
A Sidi Ali Ben Aoun, in Tunisia, la breakdance può salvarti la vita. O almeno è la convinzione di Nidhal Bouallagui, in arte B-boy Asl, un breaker 23enne del posto, che, insieme ad altri b-boy ha creato Break Art, una crew nata per insegnare i primi passi a chiunque ne sia interessato in vari impianti sportivi della città.
Ci troviamo in una cittadina di 7mila anime tipico della Tunisia del sud, con uno dei tassi di disoccupazione più elevati del Paese, che ha nell’agricoltura la sua unica fonte di sostentamento. La città era salita agli onori delle cronache l’ottobre scorso, quando fu teatro di violenti scontri tra le forze di polizia e alcuni esponenti salafiti. Per le persone di molte piccole realtà simile a queste, la rivoluzione dei gelsomini di 3 anni fa che ha deposto Ben Alì dando il via alla cosiddetta primavera araba, è ormai solo un ricordo che ha lasciato un enorme speranza di cambiamento in larga parte soffocata dal ritorno della normalità.
Ed è qui che nasce la battle più importane per questi ragazzi, che vedono nella breakdance un mezzo per arginare la diffusione della dottrina conservatrice e la fitta attività di reclutamento operata dai gruppi estremisti sul territorio. Il tentativo è quello di fornire un’alternativa tramite appunto la breakdance, il rap ,il djing, ma anche corsi di fotografia, iniziative culturali e sport estremi. Ogni sabato i ragazzi si ritrovano per esibizioni in pubblico e performance artistiche esprimendo con il corpo tutto ciò che non si può dire con le parole. Precisando che: “Il problema non sono i Salafiti, ma le derive estremistiche ad essi connesse“, il ragazzo ha raccontato al New York Times che: “Lo facciamo per stare insieme alle persone in modo volontario e senza guadagnarci. Il principio alla base di tutto è di fare qualcosa di nuovo. E’ importante dare ai ragazzi giovani degli strumenti culturali per evitare che crescano alienati nella società”.
“Vogliamo espandere il fenomeno a tutta la Tunisia per sradicare la vecchia mentalità in modo che il nostro Paese cambi veramente. Sono i semi del cambiamento iniziato con la rivoluzione: vogliamo arrivare a poter vivere come vogliamo”. Il corpo incarna dunque una forma di protesta non violenta che permette un’evoluzione individuale e collettiva intesa come “forma di resistenza contro i dogmatismi sociali e religiosi”. Il movimento in contrapposizione alla staticità di un dogma e la danza come forma di liberazione; non solo del proprio corpo.
Dopo essere arrivato tra i primi 16 tunisini nella competizione regionale del Red Bull breakdance championship ha organizzato il mese scorso un piccolo festival nella cittadina con esibizioni di tutti i tipi ed un Dj giunto da Kasserine, capitale dell’omonimo governatorato. “C’è davvero la volontà di fare in modo che le cose succedano, anche se la gente non sa come”, ha puntualizzato; un buon windmill girato sulla terra tunisina, sembra essere un ottimo inizio.
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