Legalizzare significa creare lavoro
Legalizzare la cannabis significa innanzitutto creare nuovi posti di lavoro. Come ogni industria di settore infatti sono molte le occupazioni che un nuovo mercato potrebbe creare, partendo da chi seleziona le genetiche, passando per chi coltiva e distribuisce infiorescenze e derivati, per arrivare a professioni del tutto nuove come i sommelier, sempre più richiesti in un mercato nuovo in cui i consumatori hanno bisogno di riferimenti, o attività parallele come le agenzie che organizzano cannabis tour nei posti dove la cannabis è legale portando i turisti alla scoperta di questa nuova realtà.
I numeri per capire il fenomeno li ha analizzati New Frontier Data in un recente rapporto sulla crescita del mercato legale della cannabis negli Stati Uniti. Stime che, secondo i dati diffusi dal Bureau of statistics superano il numero dei posti di lavoro che saranno creati dal settore manifatturiero nei prossimi 4 anni, con oltre 250mila posti di lavoro creati dalla cannabis industry entro il 2020.
«Questi numeri confermano che la cannabis è un importante motore economico e di creazione di posti di lavoro per l’economia Usa», aveva sottolineato a Forbes Giadha Aguirre De Carcer, fondatrice e Ceo di New Frontier Data. «Mentre assistiamo ad un possibile calo del numero totale di posti di lavoro creati negli Stati Uniti nel 2017, l’industria della cannabis continua ad essere un fattore di crescita in un momento di potenziale declino. Con una proiezione di vendite totali superiori ai 24 miliardi di dollari entro il 2025 e la possibilità di quasi 300mila posti di lavoro entro il 2020, rimane una forza economica positiva negli Stati Uniti».
Innanzitutto in America, se volete trovarvi un lavoro nell’industria della cannabis legale, potete rivolgervi a diverse agenzie che si occupano proprio di questo, visto che secondo diversi analisti il mercato legale della cannabis sta diventando il settore che cresce più velocemente nell’economia americana, la più grande al mondo. Da Viridian Staffing che copre tutti i settori (medico, ricreativo, industriale e correlati) e recluta persone per lavorare nei settori più diversi (alimentari e bevande, agricoltura, beni confezionati, software, tecnologia medica e carta), a HempStaff che offre anche corsi per imparare a gestire i dispensari, passando per GRND o Mac & Fulton dedicata alla coltivazione indoor ed all’industria di settore più in generale. Con una rapida ricerca in internet se ne trovano a decine come THC Staffing group o 420 Careers, una delle prime nate.
Una delle figure più richieste attualmente è il cosiddetto Grow master, ovvero quella figura che lavora come responsabile delle coltivazioni curando tutti gli aspetti dalla gestione degli impianti, alla coltivazione della pianta in tutte le sue fasi in ambienti professionali e soprattutto grandi, in media con 100 lampade da 1000 watt ciascuna. Poi, oltre a chi apre dispensari, a chi li gestisce e ci lavora, a chi crea i prodotti e a chi si occupa di rifornire le varie attività, un altro lavoro interessante è sicuramente quello del “rappresentante”, che visita dispensari ed aziende produttrici proponendo prodotti e mantenendo i rapporti commerciali tra loro ed i grower.
In Colorado stanno nascendo diverse agenzie di viaggio che propongono cannabis tour per i visitatori ed anche il mondo della comunicazione e della pubblicità si è ormai aperto a questa realtà con figure professionali dedicate al giornalismo ed al marketing.
E fino a qui abbiamo parlato solo delle possibilità che girano intorno al mercato cosiddetto ricreativo. Ma, pensando ad esempio alla situazione italiana, anche l’ambito della canapa industriale o il settore medicale richiedono specifiche figure professionali con competenze mirate. Non possiamo dimenticare come, secondo uno studio della Coldiretti di qualche tempo fa, «avviare un progetto di filiera italiana al 100% che unisce l’agricoltura all’industria farmaceutica potrebbe generare da subito un business di 1,4 miliardi e garantire almeno 10mila posti di lavoro dai campi al flacone».
Gli ambiti di applicazione della canapa industriale sono praticamente infiniti. Ogni filiera di produzione avviata significherebbe decine e decine di posti di lavoro, senza contare gli agricoltori e i tecnici che si occuperebbero di coltivazione e trasformazione o del settore meccanico per favorire l’agricoltura.
Stesso discorso per il settore medico dove mancano figure professionali formate, dai medici agli infermieri, oltre a professori, cultori della materia, tecnici di laboratorio, analisti e ricercatori. Quanti posti di lavoro creerebbe un programma mirato di investimenti e ricerca in campo medico e farmacologico dedicato alla cannabis terapeutica? Senza contare lo sviluppo di nuovi prodotti medicali che in America stanno nascendo come funghi: dai cerotti alle gomme da masticare, passando per tamponi vaginali, spray ad uso orale o nasale e altri. In questo senso un primo passo è stato fatto dal primo corso universitario di perfezionamento post laurea in un’università italiana che prenderà il via ad ottobre a Padova, ma siamo solo all’inizio.
In un Paese in cui le risorse migliori che abbiamo sono il sole e la terra ed in cui la disoccupazione giovanile arriva al 40%, esplorare nuove strade che possano creare un’economia sostenibile come quella generata dalla canapa, in una società sana sarebbe un imperativo, più che una possibilità.