Le terribili conseguenze delle politiche repressive
Apprendiamo dai giornali di un triste primato: nel 2017 la città di Mestre è risultata quella con il maggior numero di morti per overdose d’Italia.
Nonostante il grande investimento in controllo e repressione, il risultato è stato l’ennesimo picco di morti per “overdose”, riferendoci chiaramente al consumo di eroina. Tale incremento coincide con la diminuzione degli investimenti sui servizi sociali del Comune, lo Stato assume e forma nuovi agenti, addestra cani anti-droga, rinnova il parco macchine della polizia, ma non investe sui veri progetti di prevenzione e di riduzione del danno.
Qualcuno crede ancora nel “castigarne uno per educarne cento”, ma la verità è ben diversa: l’esigenza di consumare sostanze psicoattive è innata nell’uomo, e non è punendo un individuo che si può cancellare la “curiosità” di tutti gli altri. L’unica cosa che può salvare il cittadino è una corretta informazione in merito al consumo di tutte le sostanze stupefacenti e al reale rischio per la salute, ma purtroppo in Italia si continua a portare avanti la politica del terrore: durante convegni organizzati negli istituti scolastici del nostro Paese, agenti in divisa o responsabili dei Sert, raccontano ancora che la cannabis è una “droga di ingresso”, di “passaggio” verso le droghe pesanti. Di contro i ragazzi scoprono attraverso informazioni diverse o per esperienze personali, il potere terapeutico di questo straordinario fiore, la scarsa pericolosità e soprattutto scoprono l’inganno proibizionista.
Pensiamo però agli effetti devastanti che, informazioni così contrapposte e ugualmente autorevoli possono creare nelle menti dei ragazzi portando alcuni di essi verso quella che definiamo “cultura dello sballo”, per cui altri giovani saranno spinti a detestare certe sostanze e chi le usa, solo perché sono vietate dalla legge, anche quando è scientificamente provata la loro scarsa pericolosità come nel caso della cannabis.
Il vero problema è che non riusciamo più a responsabilizzare i giovani, si tenta di “formarli” come se fossero un blocco di pietra che può migliorare la sua forma, sino a diventare un’opera d’arte a forza di martellate.
Non possiamo lamentarci se, invece di spiegare alle nuove generazioni da che parte sta la ragione, continuiamo a “schiaffeggiarli” per qualcosa che neppure gli adulti hanno ben compreso. Qual è allora il vero fine della punizione? Educarli o riempire centri di recupero per tossicodipendenti e carceri? Purtroppo dobbiamo tenere in considerazione anche questo aspetto: dietro certe realtà si nascondono spesso interessi economici. Chi sostiene il proibizionismo millanta spesso “valori” che, non esistono affatto, e ha spesso un tornaconto economico dato proprio dalla gestione del sistema proibizionista.
Continua invece l’inutile azione repressiva nei confronti di chi, in alternativa o insieme alle droghe legali come alcol e tabacco, sceglie di consumare anche quelle illegali e continua così ad infittirsi l’elenco dei morti per “ignoranza” e per “abbandono”, perché sono quelle le vere cause della morte di un “drogato”. Ed è a tal proposito che ribadiamo l’importanza di apportare una modifica radicale nelle leggi attualmente in vigore, continuando a nutrire la speranza che gli interessi politici dei partiti, non releghino nel dimenticatoio per l’ennesima volta la battaglia per un diritto civile anche nella prossima legislatura.
Giancarlo Cecconi
portavoce ASCIA e CIP