Le lunghe notti in cui non riusciamo a prendere sonno
«Stanotte non ho chiuso occhio.» Quante volte abbiamo ascoltato o pronunciato noi stessi queste parole? Se c’è una cosa che ci accomuna tutti, in questo nostro tempo preso d’assalto dalla frenesia del lavoro, dalla dipendenza dai social, dalla necessità di essere rapidi e multitasking in qualsiasi attività ci sia richiesta di compiere, è la difficoltà che poi incontriamo nel dormire. Quell’estenuante veglia che ci fa rigirare da un lato all’altro del letto, i pensieri che affollano il soffitto, l’orizzonte di un torpore lontano che non arriva mai.
L’insonnia, si potrebbe dire, è il motore di questo secolo che non dorme mai. Un motore per sua natura guasto, fuori uso, ridotto a una scatola vuota. Gli scienziati ci mettono in guardia ogni giorno sui rischi legati a un sonno di cattiva qualità e sulla sua privazione. Sappiamo che quest’ultima mette a dura prova il sistema cardiovascolare, provocandone una continua stimolazione – la frequenza cardiaca è sempre più alta e la pressione arteriosa sistemica tende a non calare durante un sonno di cattiva qualità. Inoltre, incredibilmente, la restrizione di sonno fa ingrassare e riduce la sensibilità all’insulina, predisponendoci a livelli più alti di glicemia. Per non parlare poi della memoria! Da decenni abbiamo individuato in una circonvoluzione profonda, protetta, della corteccia cerebrale, l’ippocampo, l’archivio dei ricordi, la principale sede della memoria. La certosina catalogazione dei ricordi è un lavoro notturno: le sinapsi, le connessioni fra le cellule nervose, durante il sonno ordinano i ricordi e li connettono in modo che il giorno successivo possiamo evocarli.
Infine, la privazione di sonno provoca sonnolenza e stanchezza durante il giorno. Ci sentiamo più stanchi, più depressi, più distratti, rischiamo di fare errori e provocare incidenti. Talvolta anche tragici. Ma che cos’è realmente l’insonnia? Ogni insonne potrebbe fornire una sua versione del disturbo che lo porta a rivolgersi a un medico, spesso descrivendolo come un male terribile che gli ha rovinato l’esistenza impedendogli di vivere le sue giornate pienamente; nello stesso momento, ogni insonne è anche costretto ad ammettere che ogni sua affermazione riguardo le notti passate in bianco è quasi sempre esagerata. Siamo portati molto spesso a iperbolizzare quello che ci accade di notte, a punteggiarlo di dettagli inverosimili e soprattutto a esasperare le nostre esperienze.
[…]Ancora oggi non esistono criteri obiettivi e marker biologici che consentano di classificare una persona come “insonne”, e la diagnosi si basa semplicemente sulla sensazione soggettiva di un decadimento della quantità e qualità del proprio sonno. La grande difficoltà a definire l’insonnia in base a criteri oggettivi dipende soprattutto dall’enorme intervallo di variabilità delle ore di sonno nella popolazione generale, non insonne e non malata. Il fabbisogno di sonno cambia infatti da persona a persona e si modifica nel corso della vita, e questo significa che non esiste un numero di ore minimo per un sonno soddisfacente, anche se il limite minimo di 6 ore è una norma estensibile a oltre l’80 per cento della popolazione adulta.
Per l’attuale Terza classificazione internazionale dei disturbi del sonno, uscita nel 2014, l’insonnia è «una condizione caratterizzata dalla sensazione di un sonno notturno compromesso da difficoltà a iniziarlo e/o da durata, continuità o qualità insoddisfacenti e tali da compromettere in qualche modo il funzionamento durante le ore diurne», e questo nonostante opportunità e circostanze favorevoli a un buon sonno, come una stanza silenziosa oppure l’aspettativa di una mattina domenicale senza impegni. È quindi importante ricordare che, per poter definire una persona “insonne”, difficoltà del sonno e compromissione dell’attività diurna devono coesistere.
La privazione di sonno, causata dai nostri comportamenti sbagliati, dalle cattive abitudini o da necessità lavorative, non causa necessariamente un’insonnia. Una volta ripristinato un normale ritmo sonno-veglia – collocando quando possibile il sonno nelle più propizie ore notturne – i disturbi legati alla cattiva qualità di un riposo disordinato scompaiono.
Molte volte, quell’incapacità di dormire che ci stringe nel letto è la fisiologica conseguenza di un periodo particolarmente stressante, reso invivibile da pressioni esterne, problemi sentimentali, ansie per un esame o un appuntamento importante, preoccupazioni quotidiane che si accatastano nei nostri pensieri come i bastoncini di uno Shangai sempre sul punto di crollare. Oppure dalla paura di eventi terrificanti, dallo stato di allerta che alcune catastrofi possono imprimere nella nostra mente in maniera traumatica.
[…] I dati epidemiologici indicano come l’insonnia sia fra i disturbi più frequenti. Circa il 10 per cento della popolazione soffre di insonnia cronica, mentre la prevalenza dell’insonnia transitoria, quella che appunto ci assale in determinati periodi della nostra vita, arriva al 30-35 per cento.
[…] Bisognerebbe fare attenzione ad alcuni piccoli dettagli per riuscire a guadagnare un sonno migliore: per esempio, evitare di coricarsi «quando si è stanchi», quando abbiamo raggiunto lo stremo delle forze, ma piuttosto essere molto regolari negli orari e nel periodo trascorso a letto, che in ogni caso non deve mai essere troppo lungo. Non dobbiamo neppure tergiversare tra le coperte al mattino, perché quest’abitudine si ripercuoterà negativamente nell’addormentamento della notte successiva. E i risvegli notturni non vanno stimolati o allungati artificialmente accendendo e consultando il cellulare o il tablet che tutti noi, immancabilmente, teniamo di fianco al letto.
Estratto da “I tre fratelli che non dormivano mai” di Giuseppe Plazzi. Per gentile concessione di ©Il Saggiatore 2019