Perché parliamo di tutte le droghe e non solo di cannabis
Non solo cannabis: dal giorno zero su Dolce Vita ci occupiamo di fare informazione trasparente su tutte le sostanze, favorendo gli approcci che vanno verso la riduzione del danno e l’utilizzo consapevole
Le droghe hanno accompagnato l’umanità nella sua evoluzione millenaria. Gli uomini di tutte le società e latitudini, e anche gli animali come ha raccontato Giorgio Samorini in un libro cult, utilizzano stupefacenti diversi tra loro per gli scopi più disparati da sempre, incrociando spesso gli utilizzi spirituali e religiosi con quelli medici.
La situazione che viviamo oggi nei confronti degli stupefacenti, è figlia di scelte ben precise che sono state prese nel corso del 1900 e che possiamo riassumere in due eventi spartiacque che hanno forgiato la percezione che abbiamo oggi: la Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, e l’avvio della Guerra alla droga inaugurata dal presidente Nixon nel 1971 in Usa, esportando poi lo stesso modello anche in Europa.
LA CONVENZIONE DEL 1961 E LA GUERRA ALLA DROGA
Se con la convenzione del 1961 sono state vietate definitivamente la produzione e la commercializzazione di determinate sostanze, esclusi gli usi a fini medici e di ricerca, con la guerra alla droga è cambiato il paradigma. Nixon nel 1971 identificò gli stupefacenti come “nemico pubblico numero 1” e inaugurò una politica indirizzata verso “l’estirpazione, l’interdizione e l’incarcerazione”, oltre che su una politica di pressione internazionale per imporre legislature simili anche a paesi non proibizionisti. Secondo i dati della Drug Policy Alliance, che sostiene da tempo che sia giunto il momento di mettere fine alla guerra alla droga, gli Stati Uniti spendono 51 miliardi di dollari all’anno per mantenere questo regime proibizionista, senza che questo abbia portato a una riduzione di uso e abuso.
Posto che in Europa negli ultimi anni la “guerra alla droga” si è trasformata in una “guerra alla cannabis”, rileggete bene le ultime righe qui sopra e facciamo insieme una domanda: qual è il motivo di spendere cifre di questo tipo per fare la “guerra alla droga”, se in più di 50 anni questo approccio non solo non “ha estirpato” l’uso degli stupefacenti nelle società umane, ma anzi l’ha visto aumentare? Chi ci guadagna? Qual è o quale dovrebbe essere l’interesse dei cittadini?
La risposta a queste domande arriva ancora una volta dagli Stati Uniti, vero dominus a livello mondiale per quanto riguarda le politiche sulle droghe, non solo sul loro territorio. La cannabis che secondo la propaganda americana degli anni ’30 avrebbe reso tutti pazzi, e alla quale veniva attribuita ogni possibile nefandezza, oggi è legale in più di 20 stati per l’uso adulto e in quasi 40 per quello medico. Ma qual è stata la molla che ha cambiato il furore proibizionista in un mercato regolamentato? I soldi.
E qui arriviamo alla domanda successiva: è giusto che le politiche che riguardano migliaia di persone siano guidate solo dall’aspetto economico? Noi crediamo di no, e un esempio concreto arriva proprio da un Paese degli Stati Uniti che ha detto basta, ha consultato i propri cittadini e ha deciso di cambiare approccio.
LA DEPENALIZZAZIONE DI TUTTE LE DROGHE PER CAMBIARE PARADIGMA
I cittadini dell’Oregon si sono espressi in un referendum storico che ha portato alla depenalizzazione dell’uso personale di tutte le sostanze stupefacenti, comprese quelle più pesanti, prevedendo fondi statali per la riduzione del danno. Significa una cosa semplice: utilizzare i soldi statali, quindi quelli dei cittadini, per tutelare, educare e se necessario dare il giusto aiuto ai cittadini dal punto di vista sanitario, invece che spendere gli stessi soldi per incarcerare i consumatori e i piccoli spacciatori lasciando indisturbati le mafie e i grandi cartelli che su queste sostanze hanno il monopolio della vendita e guadagnano miliardi.
È un cambiamento epocale che invece che nella direzione della repressione e dell’oppressione dei cittadini, avrà un approccio incentrato sulla salute pubblica, e un allontanamento dalle politiche che incarcerano le persone per comportamenti legati all’uso di una sostanza o a una dipendenza.
Ed è un cambiamento in atto in tutti gli Stati Uniti. Accanto alla progressiva legalizzazione della cannabis, infatti, è stato lanciato il movimento Decriminalize Nature, che si pone come obiettivo la depenalizzazione del consumo delle piante psichedeliche, con diverse città, Denver in primis, che hanno approvato la depenalizzazione di funghetti allucinogeni e altre piante.
Una vittoria che rappresenta una sfida a lungo attesa alla logica razzista e carceraria della criminalizzazione della droga e di chi la utilizza.
DEPENALIZZANDO LE DROGHE IL CONSUMO DIMINUISCE
È la stessa mossa che il Portogallo, in piena emergenza da overdose di eroina, fece in solitaria nel 2001. All’epoca, gli ambienti più conservatori pronosticavano niente meno che l’apocalisse. “Arriveranno aerei zeppi di studenti per fumare marijuana, sapendo che non andranno in prigione. Gli promettiamo sole, spiaggia e la droga che desiderano”, diceva il deputato di destra Paulo Portas. Anni dopo nessuna delle terribili previsioni si è verificata. Tutt’altro, il consumo delle droghe è diminuito, “soprattutto tra i più giovani”, ha sottolineato il medico il medico Joao Goulao che è stato presidente dell’Osservatorio Europeo per le Droghe e le Tossicodipendenze (OEDT).
E sono sempre di più le istituzioni, le organizzazioni e le riviste scientifiche – a partire dall’Onu – che sottolineano come la guerra alla droga abbia prodotto solo danni, incarcerando decine di migliaia di semplici consumatori senza raggiungere nemmeno uno degli obiettivi preposti, ma militarizzando le nostre società.
DALL’ONU AGLI SCIENZIATI: CHI CHIEDE LA FINE DELLA GUERRA ALLA DROGA
Nel 2010 era stato il The British Medical Journal, tra le riviste scientifiche più prestigiose al mondo, a chiedere con un editoriale che si ponesse fine alla guerra alla droga, almeno nei confronti della cannabis. Una linea ribadita nel 2018, allargando il discorso agli altri stupefacenti.
Più di recente è stato il The Lancet, altra prestigiosa rivista scientifica, a prendere psizione con queste parole: “La guerra alla droga deve finire. Il nostro precedente editoriale sull’argomento ha evidenziato il Portogallo come un esempio che altri paesi dovrebbero seguire. La depenalizzazione dell’uso personale di droghe, insieme a maggiori risorse per il trattamento e la riduzione dei danni, insieme a iniziative più ampie per ridurre la povertà e migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria, potrebbero trasformare la vita delle persone colpite. Questa trasformazione potrebbe finalmente essere qualcosa per cui vale la pena lottare”.
Nel 2022 sono stati gli esperti dell’Onu a chiedere di porre fine a questa guerra insensata che miete vittime tra ragazzi che, al massimo, avrebbero bisogno di un aiuto, non certo della galera.
“I dati e l’esperienza accumulati dagli esperti delle Nazioni Unite hanno dimostrato che la “guerra alla droga” mina la salute e il benessere sociale e spreca risorse pubbliche senza riuscire a sradicare la domanda di droghe illegali e il mercato delle droghe illegali. Peggio ancora, questa “guerra” ha generato in molti casi narcoeconomie a livello locale, nazionale e regionale, a scapito dello sviluppo nazionale. Tali politiche hanno implicazioni negative di vasta portata per la più ampia gamma di diritti umani, tra cui il diritto alla libertà personale, la libertà dal lavoro forzato, dai maltrattamenti e dalla tortura, il diritto a un processo equo, il diritto alla salute, compresi i trattamenti e le cure palliative, il diritto a un alloggio adeguato, la libertà dalla discriminazione, il diritto a un ambiente sano e pulito, il diritto alla cultura e alle libertà di espressione, di religione, di riunione e di associazione e il diritto alla parità di trattamento davanti alla legge”, scrivono gli esperti, e non c’è nient’altro da aggiungere.
L’UNICA STRADA È QUELLA DELL’EDUCAZIONE
Noi di Dolce Vita abbiamo sempre puntato sull’unica arma che ci piace, che è anche l’unica che vogliamo utilizzare: le parole. Perché da sempre siamo convinti che in una società, in una scuola o in una famiglia, prima delle punizioni, debba esserci l’informazione trasparente. È solo grazie a informazioni corrette date ai giovani sulle sostanze e sui loro effetti – comprese quelle legali – che si potrà armonizzare il consumo di stupefacenti nelle società moderne, in cui l’uso spirituale e religioso è quasi sparito per far spazio a quello “ludico”. Nelle società moderne dove tutto è ridotto a merce e a bene di consumo, questo passaggio ha riguardato anche gli stupefacenti, degradando esperienze che l’umanità faceva da millenni, spesso a livello comunitario e con fini di elevazione spirituale, a mero “divertimento” usa e getta, con tutti i danni associati a questo modo di ragionare.
E quindi torniamo al succo del discorso, all’informazione che, se scevra da ulteriori interessi, rende le persone consapevoli. Ed è questa la scelta che ci troviamo davanti: quella di continuare a proibire, con la minaccia della galera, raccontando ai giovani che le droghe sono tutte uguali o quella dell’educazione, che guidi le persone anche nel caso vogliano sperimentare uno stupefacente, ma facendolo consci di ciò che stanno per fare, compresi i potenziali effetti collaterali.
Dal giorno zero, all’interno del nostro manifesto ufficiale, è presente questo passaggio: Dolce Vita non prende posizione riguardo l’uso di sostanze stupefacenti (qualunque esse siano), ma si limita a fornire le giuste informazioni a riguardo, invitando tutti ad una responsabilità personale e ad un’eventuale sperimentazione consapevole.
Questo è quello che abbiamo fatto nei nostri 18 anni di pubblicazioni e quello che continueremo a fare.