Natura e caratteri delle condotte previste dall’articolo 73
La seconda parte del saggio dell’avvocato Carlo Alberto Zaina sull’analisi dell’articolo 73, per fornire delle “dispense giuridiche” che spieghino i parametri che si applicano giurisprudenzialmente nei processi
Si è affermato che la legislazione in materia di stupefacenti, in generale, e l’art. 73 in particolare, costituisca
bastione che assolve ad una funzione di tutela della collettività, dell’ordine pubblico, della pubblica salute, rispetto al pericolo che la dilagante diffusione dell’illecito fenomeno integra concretamente.
Come anticipato in precedenza, questa funzione preventivo-repressiva, ha permesso di collocare il reato declinato nella norma in questione (ricomprese tutte le condotte descritte esemplificativamente al co. 1, ma con valenza anche per il co. 4) nella categoria dei reati di pericolo.
In origine si è sostenuto che si trattasse di un pericolo presunto1.
Tale costruzione presupponeva, pertanto, che non fosse necessario l’accertamento della messa in pericolo, dovendosi intendere vigente una presunzione iuris et de iure.
Successivamente la Suprema Corte2 ha circoscritto e specificato il concetto di pericolo, sostenendo che, attesa tale natura, è, tuttavia, necessario che detto pericolo sia concreto, e non meramente ipotetico, con riferimento alla possibilità di alterazione delle condizioni psico-fisiche del soggetto assuntore di droga e che costituiscono, appunto, l’effetto cosiddetto “drogante” o stupefacente o allucinogeno.
Il tema relativo alla classificazione come reato di pericolo della violazione dell’art. 73 dpr 309/90 ha trovato significativa attenzione in relazione alla condotta di coltivazione di piante di cannabis.
Sull’abbrivio del principio di SSUU 28.4.2008 n. 268053, la giurisprudenza di rito ha rimarcato la fondamentalità del pericolo “di aumento di disponibilità dello stupefacente e di ulteriore diffusione dello stesso” insito nella coltivazione e come tale aspetto imponga un’anticipazione della soglia di punibilità, già al momento dell’inizio della attività coltivativa, salvo la verifica di quell’insieme di requisiti che SSUU 12348/20 ha tassativamente ed espressamente declinato4.
IL MOMENTO IN CUI SI CONSUMA IL REATO
Attese le considerazioni svolte per collocare i delitti concernenti gli stupefacenti nella categoria dei reati di pericolo, diviene naturale richiamare, sotto il profilo generale, il già affrontato problema concernente il momento di consumazione del reato.
Si tratta di una tema estremamente delicato, posto che la teoria cd. consensualistica (la quale si rifà in modo evidente ai principi negoziali e contrattualistici propri del diritto civile) ha progressivamente assunto una veste di particolare rilievo.
Tale tesi parte, infatti, dal presupposto che tutte le fattispecie, nelle quali non vi sia, da parte degli agenti, contestualizzazione del consenso all’illecito e della condotta materiale, si debba fare esclusivo riferimento al momento in cui avviene la fusione delle reciproche volontà.
Sull’argomento è intervenuta recentemente Cass. Sez. III Sent., 17/01/2022, n. 1555 (rv. 282407-01) che ha ribadito il principio in parola, affermando che “Ai fini della consumazione del delitto di importazione di stupefacenti è sufficiente la conclusione dell’accordo finalizzato a detta importazione, potendo configurarsi il tentativo solo nella fase antecedente all’incontro delle volontà in ragione delle trattative intercorse, univoche e idonee a conseguire seriamente il reciproco consenso all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale”5.
È stata, nel tempo, così superata quella posizione – peraltro già minoritaria in origine – espressa dalla Sez. I, con la sent. 1 Giugno 1998, n.10460, Ceman e altri6, che sosteneva che per la consumazione dei reati di vendita, acquisto, cessione e ricezione di sostanze stupefacenti, previsti dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non basta l’accordo tra le parti, ma occorre anche la consegna della sostanza stupefacente e, limitatamente, alla vendita e all’acquisto, anche la corresponsione del relativo prezzo7.
Per la prevalente opinione8, ormai incontroversa, dunque, la cessione, la vendita, la distribuzione e, comunque, tutte le altre omologhe condotte materiali ricomprese nella norma in questione, costituiscono una mera modalità di esercizio del potere di disposizione dello stupefacente, che si presuppone esistente in capo all’agente.9
Una volta stabilita, pertanto, la generale natura di pericolo del reato di cui all’art. 73 e preso atto che, su tale abbrivio, il momento di perfezionamento dello stesso è quello in cui si addiviene alla fusione del consenso fra le parti, è necessaria ancora una rapida notazione metodologica. Il comma 1° dell’art. 73 (così come il comma 2°) assolve ad una duplice funzione.
Da un lato, esso costituisce norma precettiva a carattere specifico, posto che indica in modo ampio (e con pretese casistiche) le condotte in essa ricomprese.
Queste vengono poste in naturale diretto collegamento con le sostanze stupefacenti di cui alla tabella I dell’art. 14, (le cd. droghe pesanti), di cui è vietata la diffusione al di fuori del sistema di autorizzazioni, argomento quest’ultimo di cui si è fatto fugace cenno e su cui ci si intratterrà in seguito.
Dall’altro, essa assume allo stesso tempo, natura generale, quale norma di puro e pieno riferimento, atteso il richiamo operato dal successivo comma 4°, il quale punisce – in relazione alle sostanze ricomprese nelle tabelle II e IV (droghe cd. leggere) – i medesimi comportamenti descritti da comma 1°, seppure con pene sostanzialmente diverse e più lievi.
Non si dimentichi, infatti, che le condotte previste dal primo comma sono sanzionate con la reclusione che va da un minimo di sei ad un massimo di venti anni e con la multa da 26.000 a 260.00010 euro.
NOTE:
1Uff. indagini preliminari Napoli Sent., 23/01/2009 La condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta, tuttavia spetterà al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva.
2 Cass. pen., sez. IV, 19/12/1996, Bongiovanni, cit. .
3 Il S.C. sostiene che “la fattispecie in esame ha, infatti, natura di reato di pericolo presunto, fondata sulle “esigenze di tutela della salute collettiva”, bene giuridico primario che legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto”, sancendo la prevalenza del profilo di concretezza su quello di astrattezza originariamente richiamato.
4Cass. pen. Sez. VI Sent., 26/02/2016, n. 8058 (rv. 266168)
5 In CED Cassazione, 2022. Particolarmente interessante è la rilevanza dell’individuazione de momento di manifestazione del consenso, ai fini della configurazione del tentativo.
Conf. Cass. pen. Sez. II Sent., 10/07/2019, n. 30374 (rv. 276981-01),
Cass. pen. Sez. III Sent., 02/07/2018, n. 29655 (rv. 273717),
Cass. pen. Sez. I Sent., 09/05/2013, n. 20020 (rv. 256030)
6 Pubblicata in Cass. Pen., 1999, 711, nota di AMATO
7 Unica analogia a quest’ultima – e si ribadisce minoritaria – posizione giurisprudenziale si rinviene nel principio ratificato da Tribunale di Sanremo sent. 19 Dicembre 2000 N. 679/00, che recita Con riferimento alla posizione del venditore dello stupefacente deve ritenersi idonea a generare responsabilità penale la mera dichiarazione di procacciare stupefacente indipendentemente dal raggiungimento della prova dell’accordo o della consegna conseguente all’acquirente. Con riferimento invece alla posizione dell’acquirente dello stupefacente non sono applicabili all’ambito penale le concezioni sulla compravendita di beni mobili, non essendo sufficiente l’accordo col venditore indipendentemente dalla traditio per reputare compiuta la fattispecie illecita.
8Cfr. LA RILEVANZA DELL’ACCORDO NELLA CESSIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI, Chiara L. Curci in Salvisjuribus.it 27.4.2018, “si desume che l’accordo si ritiene concluso nel momento in cui vi è lo scambio di proposta ed accettazione da parte dei soggetti coinvolti e, proprio in quel momento, oltre al perfezionarsi dell’accordo si consuma anche il reato di cessione di sostanze stupefacenti”.
9 Cass. 18/04/1995, Della Valle, CP 1996, 1989
10 La norma ha subito un travagliato iter di valutazione costituzionale, venendo cassata una prima volta dalla Consulta con la sentenza n. 32 del 2014 e, successivamente, in relazione alla irragionevolezza del minimo edittale di pena con la sentenza 40 del 2019, che ha fissato lo stesso nella misura di sei anni di reclusione